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Le studentesse dell'Einaudi di Chiari salutano Lampedusa dopo il ricordo del naufragio

Per le cinque ragazze è stata un'esperienza intensa. Ciascuna ha scelto una parola con cui raccontarla
La manifestazione per il ricordo del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La manifestazione per il ricordo del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Alice, Irene, Nadia, Giada ed Emanuela, le cinque studentesse dell’Istituto Einaudi di Chiari, hanno lasciato Lampedusa ieri sera, dopo quattro giornate intense, fisicamente ma soprattutto emotivamente. 

Hanno seguito con attenzione i laboratori e le tavole rotonde promossi dal Comitato 3 ottobre per commemorare il naufragio di dieci anni fa in cui morirono 368 persone, ma soprattutto hanno incontrato i sopravvissuti a quella strage confrontandosi con tanti altri studenti provenienti da tutta Italia. 
Con l’aiuto delle due professoresse che le hanno accompagnate in questo viaggio, Sabrina Corsini e Valeria Lotta, abbiamo chiesto loro di definire in una parola cos’è stata questa esperienza. Giada ha scelto «unità»: «Perché - ha spiegato - è inconfutabile che tutte le persone di qualsiasi età o origine dopo aver vissuto questa esperienza comune piuttosto pesante e di altissimo rilievo, non possono far altro che legarsi in modo indissolubile. E questa unità rende impossibile cancellare i volti di chi si ha avuto accanto».

Nadia, nipote di un nonno marocchino che ha fatto il viaggio della speranza per quattro volte per dare ai suoi quattro figli un futuro migliore, sbarcando proprio a Lampedusa, ha scelto come parola chiave «"altruismo". In questi giorni ho ascoltato tante persone che hanno parlato dei flussi migratori, trattati spesso come fosse un’emergenza, cosa che invece non è perchè ai migranti serve solo un posto in cui essere liberi e trattati da esseri umani». La parola di Alice invece è «"pace". Rendendo i paesi d’origine di queste persone pacifici per non obbligarli a partire per un viaggio in cui rischiano la vita. Le persone che arrivano non vogliono la guerra. Vogliono vivere al sicuro come persone e non come numeri». Colpita dall’intervento dell’ex direttore di Avvenire, Tarquinio, per Irene la parola infine è «"persone", perché dietro ai numeri dei migranti morti ci sono storie di esseri umani». 

I semi della non indifferenza messi a dimora a Lampedusa ora non devono che germogliare al nord, nella nostra provincia. 

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