Il collega dell'autista folgorato nel cantiere Tav: «Era un fratello, ho provato a salvarlo»

Entrambi di origini senegalesi, entrambi autisti di camion, entrambi addirittura si chiamano Kante. «Era un fratello, sono arrivato a scaricare subito dopo di lui e lo ho visto per terra, ho cercato di fargli il massaggio cardiaco».
Il racconto del collega del 60enne morto nel tragico infortunio di Calcinato è rotto dall’emozione, le parole devono lasciare spazio alle lacrime. Dopo aver parlato con i carabinieri e i datori di lavoro ha aspettato i familiari di Kante Demba e li ha accompagnati dentro il cantiere, oltre gli sbarramenti dei mezzi del consorzio che sta realizzando la Tav, fino al camion che da strumento di lavoro, in un istante, si è trasformato nell’arma che involontariamente lo ha ucciso.
«È stato tanto sfortunato - prosegue l’autista - se si fosse accorto subito di aver colpito i cavi o se non fosse sceso dalla cabina non gli sarebbe accaduto nulla. E invece ha fatto tutte le operazioni che si fanno di solito senza rendersi conto che il camion aveva preso la corrente. Appena si è appoggiato per prendere i fermi è successo tutto».
In pochi minuti nella via di accesso al terreno di scarico si è formata una coda di camion e un capannello di autisti. Parlando di quello che è accaduto e del collega scomparso, guardano con sospetto chi si avvicina, osservano sfilare i mezzi di soccorso e poi carabinieri e medicina del lavoro dell’Ats. Anche Kante li osserva da lontano, ha accompagnato un altro parente del collega morto nel cuore del cantiere «Ora non riesco più a parlare, non ce la faccio proprio». Risale in cabina e riparte, ultimo di una serie di camion per il movimento terra che hanno ripreso la strada del cantiere e del deposito.
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