Falò e cortei: gli antichi riti propiziatori bresciani che stanno scomparendo

La sequela di riti sacri e propiziatori che caratterizzano le feste dell’estate hanno inizio molto prima, nel cuore dell’inverno, con i falò accesi sulle rive dei fiumi della campagna bresciana, a scacciare il freddo e la sterilità iemale (devastante malattia che intacca le piante).
Da Sant’Antonio al solstizio
Il primo falò si accende il 17 gennaio in onore di Sant’Antonio abate. Poi l’altissima pira d’origine celtica che s’innalzava, sino a pochi anni fa, a Bompensiero, il 22 gennaio. La Chiesa convertì tale ritualità profana in sacra, dedicandola a San Vincenzo. Ecco quindi le pire che riverberano le fiamme sulle acque del fiume Oglio: a Cadimarco, Fiesse e paesi sulle opposte sponde bresciana e cremonese, e quella suggestiva, detta dei «Canti della Merla» di Crotta d’Adda.

Arriva in fretta anche la «Festa della Libertà», il Carnevale: una sorta di ribellione prima dei rigori della Quaresima. A seguire i tripudi delle Rogazioni: processioni cadute in disuso, che si celebravano tra fine di aprile inizio di maggio, il lunedì, martedì e mercoledì precedenti la festa dell’Ascensione, cioè 40 giorni dopo la Pasqua. Si trattava di cortei diversi da quelli canonici, che avevano luogo quando il sole non era ancora sorto. Vi partecipavano tutti, col parroco in testa, per portarsi sui quattro punti cardinali dei paesi. Qui, il prete recitava invocazioni che all’origine avevano il compito di scacciare gli spiriti maligni: «A peste, fame et bello libera nos Domine… a fulgure et tempestate libera nos Domine». Seguiva la benedizione dei «quater cantù» e della campagna. Così facendo s’intendeva ringraziare la natura d’essersi destata dal torpore invernale.
E c’era la paganità piena del solstizio estivo, il 21 giugno, quando le streghe trasformavano ogni erba in portenti medicamentosi.
La «barca di San Pietro»
Quindi si avvicinava la festa di San Pietro e Paolo del 29 giugno: il 23 giugno, con il misterioso rito della «Barca di San Pietro». E il 24 dello stesso mese, giorno considerato adatto ai pronostici, quando si ricorda la nascita di San Giovanni Battista, con l’ultimo falò della lunga serie, questa volta acceso per ringraziare Madre terra per aver riempito di nuovo i mannelli dei contadini.
Così si andava verso l’ultima festa del periodo estivo, il 29 agosto, quando si celebra la morte di San Giovanni detto il Decollato che, si spera, sia anche la data che decreterà la fine della canicola insopportabile di questa estate 2022.
Ma dove sono andate a sprofondare le storie antiche, le mascherate e le pantomime recitate nei filò quando, scesa la sera, i contadini si portavano per ripararsi dal gelo dell’inverno, e per preparare gli strumenti per il lavoro sui campi là, proprio là, dove avrebbero appeso a un gelso (vedi la stupefacente foto di Fausto Schena) l’ultimo nato adagiandolo in una cesta? Non ci sono più. Tutto eliminato da questo nostro tempo disincantato.

L’impegno di mons. Fappani
Persino la nuova pedagogia le ha demonizzate dimenticando, così, come si insegna la voglia di avventurarsi nel mondo della fantasia e delle meraviglie. Fu quest a spingere, negli anni Novanta, monsignor Antonio Fappani infaticabile Presidente della Fondazione Civiltà Bresciana, ad avviare un’ampia ricerca demologica, con l’intento di salvare, della tradizione orale e della cultura immateriale, il salvabile. L’idea prese corpo nel 1995, in un incontro tra antropologi e folkloristi nell’antica Posteria dell’Aquila Rossa in Padernello. I partecipanti si trovarono d’accordo su un concetto di fondo: i riti calendariali possono sembrare sì scomparsi. In realtà tendono ad occultarsi, a nascondere le loro vere origini mitico-storiche, origini che ciclicamente vengono rivisitate e reinterpretate.
Fu così che nacque «L’Atlante Demologico Lombardo», uscito in soli tre volumi: il Bresciano, il Mantovano e il Cremonese, quando l’idea era di indagare tutto il territorio lombardo. Poi don Antonio se ne tornò alla casa del Padre e la ricerca si fermò. Nel 2010 mons. Fappani scriveva però: «Si sta assistendo ad una notevole, quanto inattesa, reinvenzione di queste tradizioni … propagandate con i nuovi e moderni canali di comunicazione multimediali, quali YouTube e Facebook. Così le feste di paese hanno ripreso possesso non solo delle piazze reali, ma anche di quelle virtuali». La tradizione oggi non è più quella di un tempo; essa è in continua trasformazione e si riplasma alla luce delle esigenze e delle ansie del mondo contemporaneo. Le chiese sempre più vuote; i riti troppo semplificati quando non banalizzati; il raziocinio diventato una fede. Tuttavia, soprattutto nei più piccoli paesi della grande pianura, sopravvivono arcaiche costumanze: dà gioia constatarne l’esistenza.
@I bresciani siamo noi
Brescia la forte, Brescia la ferrea: volti, persone e storie nella Leonessa d’Italia.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
