Bassa

Battista Rongaroli, l’ultimo mugnaio della Bassa bresciana

Rongaroli racconta la storia del suo mulino, fatto costruire dai conti Martinengo dalle Palle a Ovanengo di Orzinuovi
Battista Rongaroli, classe 1922, nel suo mulino a Orzinuovi - Foto © www.giornaledibrescia.it
Battista Rongaroli, classe 1922, nel suo mulino a Orzinuovi - Foto © www.giornaledibrescia.it
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A sud di Orzinuovi sorge il mulino antico di Ovanengo di Orzinuovi, fatto costruire dai conti Martinengo dalle Palle sul correre delle acque della roggia Gaspara. Incontriamo Battista Rongaroli, l’ultimo mugnaio della Bassa bresciana.

Battista, ci racconti la storia del suo mulino.

«La storia di questo posto è secolare. Io ne conosco solo una parte, quella della mia famiglia, tutti mugnai da generazioni, iniziando da mio bisnonno Giuseppe, nato nella prima metà dell’Ottocento, al quale succede il figlio Battista Rongaroli, classe 1882, che acquista il mulino di Ovanengo nel 1921, pagandolo 48.000 lire. Nel contratto che le mostro e conservo gelosamente sono elencate le regalie che doveva alla contessa Paolina: 2 anatre, 2 faraone, 2 capponi, 60 uova… Dopo subentra mio padre, classe 1922, che portava il nome del bisnonno. Poi arrivo io, nato e cresciuto al mulino. L’opificio ha subito tanti rimaneggiamenti e modifiche. L’ultima risale al 1950 quando mio padre si reca a Caravaggio, presso la fonderia Baruffi, per l’acquisto della nuova ruota del diametro di metri 7,50, la stessa che vede lì, ancora in gora. Una ruota così grande non si vede da nessuna parte in zona. Nei tempi d’oro macinava 5 quintali di farina all’ora. Ora è ferma. La guardi. Non vede com’è triste? Persino più di me».

Quali sono stati i motivi che hanno scritto la parola fine per il suo mulino?

«Le motivazioni sono tante: le forze che veniva meno; la morte di mio padre che mi ha fatto sentire come più vecchio; il fatto burocratico che rendeva l’esercizio della molitura impossibile, come l’estrema difficoltà di riuscire a trovare la granella di mais che per l’Asl non era mai idonea, e che secondo il Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria non rispettava mai i limiti di contaminazione da micotossine. Pensi che all’inizio sono partito con una semplice licenza di macinazione, poi ho dovuto fare quella di ambulante, quindi di commerciante… ec via dicendo».

Quando ha definitivamente chiuso il mulino di via Fame?

«Mio nonno Battista acquista il mulino nel 1921, ma già da due anni, cioè dal 1919 era affittuale dei conti Martinengo e conduceva l’opificio molitorio. Prima di chiudere definitivamente i battenti del mulino ho voluto togliermi una soddisfazione: far scadere i cento anni da quando la mia famiglia di mugnai era qui giunta, traguardo raggiunto il 31 gennaio del 2019. Lo confesso, l’ho fatto con la tristezza nel cuore. Qui ho lavorato per cinquant’anni. E poi mio padre assolutamente non voleva. Comunque, ogni tanto, mi porto sulla parte alta delle chiuse, le apro, metto in moto la ruota e sto lì, in silenzio, a guardarla girare».

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