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Baby gang, incendiato il bar di Ghedi dopo la puntata de Le Iene

Le fiamme appiccate pochi minuti dopo che era andato in onda il servizio dedicato al locale finito nel mirino di un gruppo di ragazzi
  • Le fiamme al bar di Ghedi
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    Le fiamme al bar di Ghedi
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«Appena finito il servizio del Le Iene questo è il risultato e l’ennesimo sopruso che dobbiamo affrontare. A questo punto anche combattere per il diritto al lavoro diventa difficile».

Sono le parole di Yuri Colosio, 27enne titolare del MiVida di Ghedi, a commento delle foto dell'incendio postate sui social network dallo stesso barista, che proprio ieri sera ha denunciato di essere da mesi vittima di una baby gang locale, un racconto andato in onda in uno dei servizi del programma di Italia 1.

Intorno alle 23 di ieri sera, poco dopo la trasmissione tv, fiamme sono state appiccate al suo locale. Dalle immagini pubblicate su Instagram da Colosio, l’ingresso del locale appare pesantemente danneggiato.

Un episodio su cui ora stanno cercando di fare luce i Carabinieri di Verolanuova che cercano riscontri anche alla luce della testimonianza di un passante che avrebbe visto una persona incappucciata appiccare il fuoco. Lo stesso passante avrebbe provveduto a domare le fiamme. 

La storia di Yuri Colosio, proprietario del bar «MiVida» di Ghedi, era già balzata alle cronache locali lo scorso autunno. Ma a «Le Iene» il 27enne ha raccontato le travagliate settimane che ha vissuto: tutto comincia quando il suo nuovo locale comincia a essere frequentato da una compagnia di ragazzini tra i 18 e i 20 anni, alcuni sono anche minorenni.

Si muovono col volto coperto dal passamontagna, spesso provocano e cercano lo scontro. E le violenze si susseguono: nella stessa sera uno di loro lancia una ragazza sul divano e aggredisce il buttafuori del locale. Ne nasce anche uno scontro con Yuri che si difende come può fin quando non finisce con un coltello puntato al viso. Da quel momento si susseguono atti vandalici e intimidatori: il 27enne si ritrova tre vetrate distrutte, poi una pistola rotta davanti all’ingresso.

Qualche settimana dopo, di fronte all’ennesimo scontro, anche il padre di Yuri viene picchiato dal branco. È dopo quella sera - e cinque denunce - che il giovane decide di non riaprire più. Ma le minacce continuano e arriva un biglietto con la scritta «Apri e muori». Il titolare del «MiVida» ci riprova dopo 10 giorni, ma al primo giorno di riapertura la baby gang lo aspetta fuori al locale.

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Nel servizio la troupe di Mediaset si sposta nelle case popolari, dove vivono molti dei ragazzini nel frattempo diventati l’incubo di molti residenti. Lì intercettano il capo della banda, un trapper 20enne che nei propri videoclip rappresenta tutta la simbologia delle gang: pistole, coltelli, machete. «Non sa trattare il cliente», dice il trapper col passamontagna in volto, parlando di Yuri. E poi alterna giustificazioni a momenti di consapevolezza: «Non si può dire che siamo una baby gang solo perché abbiamo fatto due risse e abbiamo mandato in ospedale una persona», ma ammette che «sono due mesi che non bevo più, perché quando bevo mi metto nei guai»

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