Ambiente

Lo zoologo Rondinini: «Siamo sull’orlo della sesta estinzione di massa»

Il docente de La Sapienza a Brescia martedì 28 marzo: «In meno di 30 anni il clima sarà la minaccia principale per le specie animali»
Carlo Rondinini, docente a Roma e membro di organismi internazionali
Carlo Rondinini, docente a Roma e membro di organismi internazionali
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Siamo arrivati sull’orlo della «sesta estinzione di massa». E il cambiamento climatico potrebbe dare la spinta finale: «Diversi studi - spiega Carlo Rondinini - prevedono che entro meno di 30 anni il clima diventerà per le specie animali la minaccia principale».

Rondinini insegna Zoologia all’Università di Roma La Sapienza ed è Professor of Global Wildlife Conservation alla State University di New York. Coordina il Global Mammal Assessment, che analizza il rischio di estinzione dei mammiferi in tutto il pianeta. Degli effetti del riscaldamento globale su ecosistemi e biodiversità parlerà a Brescia martedì prossimo, 28 marzo, alle 18, nell’auditorium San Barnaba di piazzetta Benedetti Michelangeli. Sarà il terzo incontro dei «Pomeriggi» dedicati alle sfide poste dalla crisi climatica, promossi da Comune di Brescia e Fondazione Clementina Calzari Trebeschi.

Carlo Rondinini, docente a Roma e membro di organismi internazionali
Carlo Rondinini, docente a Roma e membro di organismi internazionali

Prof. Rondinini: quali sono gli effetti sui mammiferi del riscaldamento globale?

I più noti sono quelli sull’orso bianco, il cui ambiente si riscalda più in fretta: se le proiezioni globali prevedono di superare il grado e mezzo di aumento entro un periodo relativamente breve, al Polo Nord si potrà arrivare a quattro o cinque gradi, forse anche oltre i dieci. Questo comporta lo scioglimento dei ghiacci e la riduzione del suo habitat. Scompaiono inoltre le foche dagli anelli, la sua preda principale. Cambia il momento in cui l’orso rientra a terra: arriva mentre gli uccelli coloniali stanno deponendo le uova e li mangia. Lo squilibrio si estende, come sempre avviene, a un intero ecosistema.

Il caldo non è l’unico problema?

Un altro sono gli estremi climatici, cicloni o siccità. Qualche anno fa si è estinta la prima specie la cui sparizione è stata ascritta ufficialmente al clima: è un topolino, il Melomys rubicola. Viveva solamente a Bramble Cay, un atollo corallino tra l’Australia e la Nuova Guinea, e un ciclone tropicale più forte del solito l’ha spazzato via. L’altra grande emergenza è legata all’acqua... La siccità colpisce tutti gli animali che vivono negli ambienti naturali. Se il Polo Nord è uno degli hotspot del riscaldamento globale, il Mediterraneo lo sarà dell’inaridimento.

Quante sono le specie minacciate di estinzione?

Sono ancora poche quelle scomparse a causa di eventi climatici: l’estinzione avviene soprattutto perché distruggiamo il loro habitat convertendolo in aree agricole o altri ambienti artificiali. Ma se la tendenza in atto continuerà, e supereremo il grado e mezzo di aumento della temperatura globale, potrebbe avviarsi la sesta estinzione di massa.

Quali sono i luoghi più a rischio?

Un’analisi che abbiamo condotto qualche anno fa associa l’intensità di cambiamento attesa alle caratteristiche delle specie e alle loro esigenze particolari. Il nostro hotspot principale, non soltanto per i mammiferi, è risultata l’Australia, che sta sperimentando siccità spaventose e incendi incontrollabili. Ospita specie uniche, come tanti marsupiali, che saranno molto più a rischio rispetto ad altre.

Quando la riduzione della biodiversità ha effetti drastici su un ecosistema?

È un fenomeno non lineare e difficile da prevedere: succede a un certo punto qualcosa di inaspettato che fa collassare un intero ecosistema. Questa mancanza di linearità dipende dal fatto che alcune specie sono più importanti di altre. Negli ambienti tropicali, ad esempio, i pipistrelli della frutta disseminano tutte le foreste: se scompaiono, sparisce l’intera foresta.

Ci sono, insomma, conseguenze a catena...

La perdita della foresta ha effetti globali e locali sul clima. Senza la biodiversità si perde la capacità degli ecosistemi di resistere alle specie invasive. Vengono meno i cosiddetti servizi ecosistemici, di cui ci rendiamo conto ancora poco ma che hanno un valore importante. Lo sanno gli apicoltori: dove volano anche le api selvatiche, l’impollinazione riesce meglio. Perdiamo la capacità di purificazione dell’acqua, che dobbiamo fare a nostre spese. Scompare quella base di benessere diffuso che deriva dagli ambienti naturali sani.

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