La rivoluzione di Tina Leonzi per le casalinghe

«Cara Augusta, la morte di Tina Leonzi mi ha portato il ricordo di una donna speciale. Ormai si leggono gli elogi funebri di artigiani, Alpini, fornai di vari paesi e vallate. Per Tina speravo in qualcosa di speciale sul nostro Giornale di Brescia!!!».
Sono stati i punti esclamativi del messaggio di Alessandra a riannodare i fili dei miei ricordi legati a tante mattine trascorse con Santina Gallinari Leonzi nello stesso ufficio, lei presidente nazionale ed io del gruppo originario Moica Brescia Leonessa.
Sono stati dieci anni condivisi con intensità, durante i quali da lei ho imparato le regole dell’associazionismo femminile, il valore delle Istituzioni e l’importanza di fare rete, ma soprattutto ho capito che il lavoro familiare è la prima vera forma di conciliazione fra i tempi di vita e di lavoro.
Nel necrologio è stata descritta come una donna «misurata, determinata e lungimirante». Se penso a lei sono due le peculiarità che mi tornano in mente: l’intelligenza acuta e la sua memoria prodigiosa. Ricordava infatti una quantità incredibile di dati, di nomi e numeri di telefono, ma sapeva ignorare le persone con le quali aveva avuto delle divergenze.
Quando nel 1982 ha colto l’idea di dare dignità al lavoro invisibile aveva 50 anni e ha continuato a praticare un femminismo cattolico per oltre quaranta, ricevendo il riconoscimento di tanti.
Oggi delle altre fondatrici del Movimento restano solo i nomi citati nel libro «La storia del Moica come storia delle casalinghe italiane» che Tina aveva curato con il sociologo Costantino Cipolla. Un’analisi storico-sociale alla quale ho dato anch’io un piccolo contributo nel capitolo relativo alla Comunicazione, ambito nel quale è sempre stata all’avanguardia fino all’ultimo.
Tina è stata la prima a stilare una Carta dei diritti della casalinga e ha saputo portare il lavoro familiare al Quirinale il Primo Maggio, anche se diceva di averlo svolto sempre poco.
La sua rivoluzione nel tempo si è attualizzata in una ramificazione di idee che ha dato voce a lavoratrici che sono anche casalinghe.
Per lei tante donne si sono tolte il grembiule e sono uscite di casa per compiere un’azione politica e questo merito la pone già nel famedio dei bresciani illustri.
Idealmente il suo nome resterà come i nastri del lutto lasciati in memoria dei defunti sulle facciate delle case nel romanzo «Cristo si è fermato a Eboli».
Dipenderà da chi raccoglie il testimone di non farli staccare.
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