Accadde oggi: il 29 aprile 1986 trovato morto Cristian Lorandi

Alla fine è rimasto un cold case. Un caso mai risolto. E oggi a distanza di 39 anni l’assassino di Cristian Lorandi non ha ancora un nome. Era il 29 aprile 1986 quando in Maddalena venne trovato senza vita, con un filo di ferro stretto al collo, il bambino di dieci anni che era sparito il giorno prima da Nuvolera. «Una storia assurda, terribile, che tocca i sentimenti più profondi dell’animo umano, che suscita emozioni alle quali non è facile sottrarsi, che infonde l’ansia di verità» scriveranno anni dopo i giudici della Corte d’assise di Brescia inquadrando la vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso una provincia intera.
La scomparsa
Cristian svanisce nel nulla alle 14.15 del 28 aprile 1986 quando lascia la casa dell’amico Carlo, che anche lui di cognome fa Lorandi, per andare dalla nonna paterna che lo deve tenere mentre i genitori sono al lavoro. Ma dalla nonna non arriva mai. E in serata il padre Bruno Lorandi, marmista a Nuvolera, e la mamma Clara Bugna, cameriera in un ristorante, denunciano la scomparsa. Tutto il paese scende in strada; i parenti, i volontari, gli amici di famiglia si mobilitano alla ricerca di Cristian.
Passa la notte e del bambino nessuna notizia fino alle 14 del 29 aprile quando a casa Lorandi squilla il telefono. Risponde papà Bruno e racconterà di aver sentito dall’altra parte della cornetta una voce che in dialetto gli dice: «Sè ta ‘ölet tò fiöl, và en Madaléna». Vale a dire: «se vuoi tuo figlio vai in Maddalena».

Bruno Lorandi – spiegherà dopo – non voleva seguire quell’indicazione, ma si convincerà. E con un gruppo di persone affronta i 30 chilometri che separano Nuvolera dal monte che domina la città. Affronta in auto i tornanti fino al parcheggio del ristorante Il Grillo. E nel bosco vicino, è lui Bruno Lorandi a ritrovare il corpo del figlioletto di dieci anni. Gli atti giudiziari ricostruiscono: «Una scena straziante si presentò agli occhi dei soccorritori perché il bambino era stato strangolato con un sottile filo di ferro che aveva ancora attorcigliato al collo». Cristian è supino, senza una scarpa, e sotto il corpo ci sono i suoi occhiali da vista con una stanghetta spezzata.
Il processo
Dopo piste battute a vuoto gli inquirenti si concentrano proprio sul padre del piccolo Cristian e il primo giugno 1986 Bruno Lorandi – che prima confessa parlando di un incidente e poi ritratta proclamandosi innocente – viene arrestato. Finisce in carcere con l’accusa di aver ucciso il suo unico figlio. Ne uscirà il 9 gennaio 1987 dopo che per tre volte gli avvocati Alberto Scapaticci e Claudio Barbieri si vedono rigettare la richiesta. Sarà riarrestato su ordinanza di un nuovo giudice.
Arriva a processo ai domiciliari e alla fine viene assolto in ogni grado di giudizio. La Corte d’Assise scrive: «Dovere primario e inderogabile del giudice è quello di attenersi scrupolosamente ai fatti e solo ad essi, sfrondandoli da qualsivoglia suggestione, perché soltanto per tal via è possibile riuscire ad esprimere un sereno ed obiettivo giudizio nei confronti di un padre, al quale viene addebitata l’accusa infamante di aver architettato un piano diabolico, che ha portato alla morte violenta del suo unico figlio».
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