Valcamonica

Rifiuti tossici dall’Australia, i Bettoni a processo

Tra il 2009 e il 2010 la Selca per il pm ha trattato 23mila tonnellate di scorie che ora incombono sull’ambiente
Rifiuti tossici, i Bettoni a processo
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Sydney, Marghera, Berzo Demo. È il lunghissimo viaggio di sola andata affrontato da 23mila tonnellate di celle elettrolitiche contenenti cianuri e floruri finite nell’impianto di Forno Allione della Selca tra il settembre del 2009 e il febbraio del 2010. Montagne di rifiuti tossici per i quali gli ex proprietari dell’azienda dell’Alta Valcamonica, Flavio e Ivano Bettoni, si troveranno a processo il prossimo 5 giugno con l’accusa di falso e traffico, in questo caso internazionale, di rifiuti.

Secondo i sostituti procuratori Alberto Rossi e Claudio Pinto la Selca non inertizzava gli scarti provenienti dalla Tomago, multinazionale australiana dell’alluminio, prima di rivenderli come materia prima secondaria ad acciaierie e fonderie di mezza Italia ed Europa. Si limitava esclusivamente a sminuzzarli, senza ripulirli della loro componente nociva, e li rimetteva in circolo con tutto il loro potenziale inquinante.

Due dei quattro coindagati, accusati di aver fatto da intermediari nella cessione degli scarti tra la Selca e le acciaierie che li hanno acquisiti, hanno patteggiato la condanna ad un anno di reclusione (pena sospesa), mentre gli altri due sono stati prosciolti dall’accusa.

Contro gli ex proprietari dell’azienda di Berzo Demo, si sono costituiti anche il Ministero dell’ambiente, la Provincia di Brescia (che nella prima metà degli anni Duemila rilasciò alla Selca un’autorizzazione a trattare quei rifiuti) e lo stesso Comune dell’Alta Valle (rappresentato dall’avvocato Francesco Menini) che è impegnato nel tentativo di disattivare una pericolosissima bomba ecologica almeno dal 2010, anno del fallimento dell’azienda e quindi della dismissione dell’attività e dell’abbandono degli scarti inquinanti. I rifiuti sono da allora alla mercé degli eventi atmosferici e incombono sull’ambiente: la falda acquifera per gli specialisti è a rischio contaminazione. Tar e Consiglio di Stato abbiano imposto al curatore fallimentare la bonifica dell'area. I rifiuti, però, sono ancora al loro posto.

Pierpaolo Prati

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