Valcamonica

Il giallo dell'operaio morto in cantiere senza datori di lavoro

Per chi lavorava Zyber Curri? Dopo la morte in un cantiere di una centrale idroelettrica a Como, resta il mistero
Zyber Curri - Foto © www.giornaledibrescia.it
Zyber Curri - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Il mistero, lungo sei mesi, è tutto in una domanda: per chi lavorava Zyber Curri? Di certo lo scorso 12 dicembre non stava facendo il turista nel cantiere di una centrale idroelettrica in provincia di Como dove è morto scivolando in un dirupo.

Operaio edile di origini kosovare, 48 anni, quella mattina era partito da Edolo, in Alta Vallecamonica, dove viveva con moglie e figli che ancora sono residenti nel Bresciano. Nessuna azienda coinvolta nei lavori del cantiere dove ha perso la vita pare conoscerlo. È un fantasma per tutti. Possibile? No, non è possibile ma sei mesi di indagine della Procura di Como non hanno dato risposta alla madre di tutte le domande di questo delicato caso. Il sospetto è che il 48enne non fosse stato regolarizzato e quindi per evitare problemi con la giustizia le aziende impegnate nel Comasco fingono ora di non aver mai conosciuto Zyber Curri.

Eppure l’operaio utilizzava un’auto che gli aveva concesso una ditta edile con la quale trasportava il materiale all’interno dell’area del cantiere e che utilizzava anche per tornare a casa a Edolo. Tutto però pare essere non più tracciabile, compresi i pagamenti ricevuti dal kosovaro. Non era solo quella mattina di metà dicembre eppure pare che nessuno dei colleghi abbia mai conosciuto il kosovaro. Un fantasma in un cantiere vero e che ancora funziona.

«Prima di modificare il codice degli appalti il ministro dell’Interno Matteo Salvini venga nel territorio e si renda conto delle condizioni in cui le persone sono costrette a lavorare in alcuni cantieri» denunciano i sindacati. «Invitiamo - aggiungono i sindacati del mondo edile - il ministro dell’Interno e il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana a visitare il cantiere in Val Cavargna (Como) dove è avvenuto l’incidente mortale. Dobbiamo lavorare tutti - è la conclusione - per consentire ai lavoratori di tornare a casa alla sera dai loro affetti, perché di lavoro si deve vivere, non morire».

 

 

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