Valcamonica

Cristini: «Le mie tele a New York in ricordo di papà»

Dopo oltre 500 quadri in 20 anni di attività, una sua monografia sarà al Metropolitan
Arte. Giovanni Cristini davanti ad un’opera nel suo studio
Arte. Giovanni Cristini davanti ad un’opera nel suo studio
AA

Lavorando sul cavalletto e sul banco di papà Giuseppe e continuando a dipingere quello che sente e non solo quello che vede, Giovanni Cristini si è aperto una strada verso il Metropolitan di New York. Dietro l’etichetta di giovane imprenditore brillante e di qualità, scopriamo che si nasconde un artista pragmatico ma visionario, sicuro di sé ma sempre in discussione che ha fatto della pittura una ragione di vita: affidandosi ai consigli del gallerista Andrea Barretta e del suo uomo di fiducia, Alessandro Pizzamiglio, si è guadagnato uno spazio fisso nei locali di ab Arte a Brescia e nella Galleria Romanino a Roma.

E solo pochi giorni fa il direttore della biblioteca del «The Metropolitan Museum of Art» di New York ha chiesto una sua monografia da inserire nella più grande collezione al mondo di libri d’arte. «Quando ho visto la lettera stentavo a crederci», racconta Giovanni mentre raggiungiamo il suo studio ad Angone di Darfo. «Sono molto contento, ma senza Barretta e Pizzamiglio non sarei mai riuscito ad arrivare così in alto». Giovanni crea in casa, come faceva papà che era un maestro nel dipingere i falsi d’autore: poco prima di morire, si presentò a casa del figlio con l’auto stracolma di attrezzature.

«Continua a dipingere perché hai talento», sono state le parole come in un ultimo passaggio del testimone. «Ho tenuto il suo cavalletto, la sedia e il tavolo di lavoro», continua Giovanni. «Papà mi ha insegnato tanto, ma il mio percorso artistico è diverso». Mostra con orgoglio le due pagine sul Catalogo d’Arte Moderna, ribadisce il suo amore per il territorio della Valle Camonica e ci spiega un mondo di tele e colori: 500 quadri in vent'anni raccontano la sua evoluzione artistica. «Il lavoro è importante ma per me la vita vera è davanti alla tela», continua Giovanni.

«Dipingere è come scrivere una lettera piena di pensieri ed emozioni e quando dipingo, dipingo e basta». Così, il ragazzino che spiava papà mentre copiava Van Gogh, ha preso lo spazio bianco della sua vita e l’ha riempito di colori: cambiando stile ma rimanendo fedele a se stesso. E al cavalletto di papà.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia