«Quell'avvocato bresciano che credette nella pietà per il vinto»

Leonardo Sciascia avrebbe voluto dedicare un libro alla storia di Enzo Paroli, l’avvocato bresciano che dal novembre 1945 nascose per otto mesi e mezzo nello scantinato della sua abitazione il giornalista Telesio Interlandi, accusato di collaborazionismo con i nazisti.
Al figlio di Paroli, Stefano, che volle incontrare a Brescia nel 1989, Sciascia scrisse: «Credo che in questo nostro mondo di violenza, di fanatismo, quel che in anni lontani, e non meno violenti e fanatici Suo padre ha avuto la forza di fare, noi abbiamo il dovere di non dimenticarlo e di indicarlo come esemplare». Quel libro mancato è ora stato scritto.
L’autore - che ha potuto consultare anche il materiale raccolto a suo tempo da Sciascia - è Virman Cusenza, giornalista, ex direttore del "Mattino" e del "Messaggero", oggi consulente della società britannica Fremantle. «Giocatori d’azzardo. Storia di Enzo Paroli, l’antifascista che salvò il giornalista di Mussolini» (Mondadori, 216 pagine, 22 euro) sarà presentato lunedì prossimo, 24 gennaio, alle 18 in diretta streaming dalla Sala Libretti del «Giornale di Brescia», alla presenza dell’autore.
Virman Cusenza, chi era Enzo Paroli?
Apparteneva a una famiglia socialista da generazioni. Il padre Ercole era stato tra i fondatori del Psi e sotto il regime, negli anni Trenta, era scampato per un soffio all’arresto. Nell’ottobre del 1945, Enzo Paroli è un avvocato cinquantenne di successo, un brillante "viveur". Regge lo studio del padre, presidente dell’Ordine degli avvocati di Brescia. In quei giorni, Telesio Interlandi è in carcere a Canton Mombello. Quando la moglie chiede del migliore avvocato di Brescia, viene indirizzata ad Ercole che, anziano e malato, passa la causa al figlio. Interlandi aveva seguito Mussolini a Salò... Come direttore del quotidiano "Il Tevere" e del quindicinale "Difesa della razza", aveva sposato la causa di Mussolini, diventando il suo ventriloquo. Per 20 anni rimane sotto la mano del duce, poi lo segue sul Garda, dove - come ho scoperto - percepisce dalla Repubblica sociale uno stipendio mensile e si reca periodicamente a rapporto da Mussolini a Villa Feltrinelli. Non aveva responsabilità istituzionali, ma il suo ruolo era tutt’altro che secondario. A Paroli, tuttavia, non racconta queste cose: per smontare l’accusa di collaborazionismo, sostiene di non aver avuto incarichi nel periodo della Rsi, descrivendosi come un uomo inerme e poco importante all’interno del regime.
Perché Paroli scelse di proteggerlo?
Quando per un errore - non si è mai capito se orchestrato o meno - Interlandi si ritrova libero, Paroli non solo continua a difenderlo, ma addirittura lo nasconde a casa sua. Perché lo fece? Era un avvocato stimato, benestante, collocato dalla parte giusta della storia. Ma non era uno che saltava sul carro del vincitore. Aveva rifiutato il ruolo di pubblico ministero offertogli dalla Corte d’assise straordinaria di Brescia «per i reati di collaborazione con i tedeschi»: la sua idea di giustizia era quella del difensore assoluto, non si vedeva nella veste dell’accusatore. In più era anticonformista, un ex ufficiale aviatore della Prima guerra mondiale che amava l’azzardo e il rischio.
Come fu la relazione tra i due uomini?
Inizialmente, nelle lettere alla moglie, Interlandi definisce Paroli «un uomo superficiale». Poi la linea di difesa scelta dall’avvocato si rivelerà vincente - nel maggio 1946 l’accusa viene archiviata - e il gesto di nasconderlo costringerà Interlandi ad ammettere di essersi profondamente sbagliato. Provò di certo gratitudine, ma credo che tra loro non sia nata una vera amicizia.
Erano troppo diversi?
Il fascismo integrale di Interlandi era lontano dallo spirito equilibrista di Paroli, abituato a stare al confine tra due mondi: ricordo che la sua amante era Angiolina Sorlini, sorella di Ferruccio, il più feroce squadrista di Brescia. Paroli sapeva che una componente di grigio abita in ognuno, mentre Interlandi divideva nettamente il mondo tra "noi" e "loro". Nel libro ricostruisce il clima acceso di quel periodo.
È importante per capire l’entità della scelta di Paroli?
È un punto fondamentale. Parliamo di giorni nei quali i nemici di poco tempo prima potevano ancora spararsi per strada. Nel luglio del ’45 Ferruccio Sorlini, agli arresti, viene ucciso durante un’udienza da un carabiniere ex partigiano. In settembre è fucilato per collaborazionismo l’ex questore Manlio Candrilli. Il clima è avvelenato. Paroli, tuttavia, è proiettato in avanti. Già intuisce che solo un gesto di clemenza potrebbe svelenire la ripartenza di un Paese lacerato visceralmente. Guarda a quello che avverrà qualche mese dopo: l’amnistia firmata da De Gasperi e Togliatti e la pacificazione nazionale, che non significa perdono ma pietà per il vinto.
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