Cultura

Quanto tempo resistiamo senza guardare lo smartphone

Dai messaggi del mattino alle notifiche prima di andare a dormire, e a volte ci si sveglia pure di notte per una controllatina allo smartphone
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Duemilaseicentodiciassette. O, nei casi più pesanti, fino a 5.427. È il numero di volte, in media, in cui clicchiamo, scorriamo, scriviamo sui nostri smartphone ogni giorno. A fornire i numeri è dscout, una società americana che ha condotto la ricerca su un campione di 95 persone che utilizzano uno smartphone Android. 

Ci svegliamo e controlliamo subito i messaggi, andiamo a dormire dando un'ultima sbirciatina al newsfeed in bacheca o ai like ricevuti, ma non solo: dalla ricerca di dscout è risultato che l'87% dei partecipanti ha attivato il telefono almeno una volta fra mezzanotte e le 5 del mattino. Insomma, le nostre dita non dormono mai e non ne abbiamo percezione. Le persone sono convinte di guardare il telefono la metà delle volte in cui lo fanno realmente, viene spiegato nella ricerca, e non sono consapevoli di quella che può diventare a tutti gli effetti una dipendenza.

 

 

Questa dipendenza in certi casi si trasforma in ossessione e ha un nome: si chiama Nomofobia, espressione nata dalle iniziali di no mobile (no telefono) e fobia, paura. Il termine è stato coniato da You Gov, un ente di ricerca britannico che nel 2008 ha dedicato uno studio al timore ossessivo di alcune persone di non essere raggiungibili al cellulare. 

Per una ricercatrice dell'Università di Granada la nomofobia colpisce soprattutto giovani fra i 18 e i 25 anni con bassa autostima e problemi relazionali (Lopez Torrecillas F., 2007). Se ne parla quando una persona che ha un uso costante del telefonino prova una paura incontrollata di rimanerne senza, arrivando a manifestare sintomi simili ad attacchi di panico: vertigini, tachicardia, respiro corto, sudorazione, nausea. Il fenomeno è più diffuso di quanto si pensi: oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (53%), soprattutto gli uomini, tende a manifestare stati d'ansia quando rimane a corto di batteria, di credito o senza copertura di rete. 

Secondo gli esperti della rivista di psicologia State of mind, l'attaccamento eccessivo allo smartphone è molto simile ad altri tipi di dipendenze, perché causa interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito celebrale della ricompensa. In altre parole vedere una notifica sullo schermo ci fa pensare che ci sia qualcosa di piacevole in arrivo per noi (sale il livello di dopamina), anche se così non è. Quindi ci affrettiamo a controllare, un po' come un giocatore d'azzardo continua a rilanciare per vedere se l'ennesima possa essere la volta buona.

 

 

A catalizzare la nostra attenzione, oltre ai messaggi, sono soprattutto Facebook e le sue app (Whatsapp, Instagram, Messenger), seguite da Google, Youtube, Chrome, Gmail e Hangouts - l'insieme di Alphabet's, per intenderci. 

«L'abuso dei social network può portare all'isolamento - spiega Ezio Benelli, presidente dell'International foundation Erich Fromm e del 18° Congresso Mondiale di Psichiatria Dinamica che si è tenuto a Firenze ad aprile -, l'utilizzo smodato e improprio del cellulare può provocare non solo divari enormi tra persone, ma anche a chiudersi in se stesse e a alimentare la paura del rifiuto».
 
Questo atteggiamento preoccupa molti genitori dei millennials, grandi navigatori dei social, e dei nativi digitali (titolo tra l'altro di un libro di Paolo Ferri, uscito nel 2011 per Mondadori), la generazione di bambini cresciuta fin dai 2 anni con tablet, smartphone e iPad a disposizione. In un articolo pubblicato da Repubblica viene riportato che il 23,3% degli adolescenti italiani trascorre sei ore al giorno su internet fuori dalla scuola e molti di loro dichiarano di «sentirsi male» quando non c'è connessione.
 
È una dipendenza davvero così forte? A metà maggio si è svolto l'esperimento SocialZero nelle aule dell'istituto tecnico commerciale «Dagomari» di Prato: per una settimana niente cellulari, né per gli alunni né per il professore che l'ha organizzato. Il tentativo era quello di mettere i ragazzi in contatto con un mondo diverso da quello digitale, con attività all'aria aperta e un laboratorio di teatro. Alcuni ragazzi tremavano al momento della consegna, in panico all'idea di stare senza telefonino. Ma la settimana si è chiusa nell'entusiasmo generale, come testimoniano i commenti riportati in seguito all’esperimento. Gli studenti hanno detto di avere riscoperto il dialogo, le relazioni faccia a faccia e più tempo di qualità dedicato allo studio e alla famiglia. Alcuni di loro vorrebbero addirittura ripetere la prova. 

Sostenere che lo smartphone e gli strumenti di nuova tecnologia siano un male è senza fondamento, tutto dipende dall'uso che noi ne facciamo. Occorre un'educazione consapevole che parta dall'esempio e dalla condivisione di un percorso alternativo, come quello proposto dal professor Marcello Contento, a Prato. 

«Lo smartphone, se usato in modo appropriato e intelligente - dice sempre Benelli, della Fromm foundation - regola la distanza nella comunicazione e nelle relazioni, gestisce la solitudine e l'isolamento, assumendo quasi il ruolo di antidepressivo multimediale, e permette di vivere e dominare la realtà». C'è insomma anche un lato creativo e utile dello smartphone e per prevenire la dipendenza basta poco: concedersi una pausa ogni tanto, limitarne l'uso e provare a guardare il mondo non solo attraverso uno schermo. Naturalmente, resta la domanda di fondo: ne siamo capaci?

 

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