Cultura

Otama Eleonora Kiyohara e i legami «bresciani»

Eccezionale ritrovamento nell’archivio del Museo d’arte orientale Collezione Mazzocchi di Coccaglio
Nell’atelier. Eva Dea Mazzocchi con Otama Kiyohara a Palermo
Nell’atelier. Eva Dea Mazzocchi con Otama Kiyohara a Palermo
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Non solo il quadro raffigurante frutti di kaki, opera della famosissima pittrice giapponese Otama «Eleonora» Kiyohara, ma anche e soprattutto la documentazione fotografica che ha permesso di ricostruirne la storia e la rete di relazioni umane che si celano dietro alla sua presenza all’interno di una collezione bresciana.

È l’eccezionale ritrovamento avvenuto nell’archivio del Museo d’arte orientale Collezione Mazzocchi di Coccaglio, dove alcuni inediti scatti del primo Novecento mostrano - per la prima volta in assoluto - l’interno dell’atelier palermitano dell’artista, e il suo volto in età avanzata in compagnia dell’amica e collega bresciana Eva Dea Mazzocchi (divenuta nuora di Pompeo Mazzocchi in seguito al matrimonio col figlio di quest’ultimo, Cesare) con alle spalle il dipinto «bresciano».

Ritrovato dal direttore Paolo Linetti e mostrato nei giorni scorsi alla presenza del presidente Alberto Facchetti e della coordinatrice del museo Cristina Macutan, il dipinto di Kiyohara (che potrà essere ammirato dalla riapertura del Museo, il 12 settembre) riporta infatti «una dedica ad Eva, i due ideogrammi simbolo delle parole donna e pittore, seguiti da luogo e data (Palermo, marzo 1919) con cui l’autrice giapponese riconosce ad Eva Dea lo status di pittrice professionista: il più alto riconoscimento che una donna potesse ricevere» ha illustrato Linetti.

«È stato il punto di partenza per la ricerca condotta da Facchetti che, scorrendo le oltre 3.500 lastre fotografiche ancora in fase di catalogazione della Collezione, all’interno di un cofanetto contrassegnato dall’etichetta consunta Palermo 1919, ha individuato gli scatti in cui appaiono Otama, Eva Dea e l’opera donata, la Palermo dell’epoca, e lo scultore Antonio Ragusa a cui si deve l’arrivo della pittrice nel Belpaese - prosegue Linetti. - Questo ci ha permesso conoscere i loro volti in tarda età, ed è la prova concreta di come il dipinto non sia frutto di un lavoro su commissione, bensì sia stato donato ad Eva Dea dopo la sua realizzazione» conclude Linetti.

Una vicenda, umana e professionale, in cui il filo rosso della pittura è presente fin dalla primissima infanzia della pittrice, grazie al padre Einosuke Kiyohara - custode del tempio buddhista Zojo-ji di Tokyo - che affidò la figlia agli insegnamenti di un maestro pittore ben prima che la piccola raggiungesse l’età scolare. Al 1976 risale invece la fondazione della Scuola Tecnica di Belle Arti a Yokohama da parte dell’imperatore Mitsuhito, a cui l’adolescente Otama s’iscrisse subito e dove frequentò le lezioni degli insegnanti Antonio Fontanesi, Giovanni Cappelletti e Antonio Ragusa. Proprio per quest’ultimo - proveniente da una ricca famiglia palermitana, accademico di Brera, giunto a Tokyo nel novembre del 1976 - la 17enne Otama vestì i panni della modella, diventando così la prima giapponese ritratta da uno scultore occidentale. Nel 1882 la pittrice, accompagnata dalla sorella Ochiyo e dal cognato, seguì Ragusa nella sua città natale con l’obiettivo di istituire a Palermo una Scuola Superiore d’Arte applicata in cui Otama avrebbe insegnato pittura giapponese, Ochiyo ricamo e il cognato le tecniche di laccatura del legno. Un’impresa effettivamente realizzata, ma purtroppo destinata ad esaurirsi dopo soli sei anni a causa di problemi burocratici. In seguito alla chiusura della scuola Ochiyo e il marito tornarono in Giappone, ma non Otama che, innamoratasi di Ragusa, lo sposò nel 1889 dopo essersi convertita al Cattolicesimo e aggiungendo al proprio nome quello di battesimo, Eleonora.

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