Cultura

La demenza digitale alimenta l'aggressività maschile

Fenomeni di regressione mentale e comportamentale al tempo della globalizzazione
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«L’aggressività umana appartiene alla nostra specie dall’alba dei tempi ed è ancora interiorizzata in noi. Il maschio dominante ne è sempre stato protagonista, anche se questa aggressività si era via via ridotta e trasformata, nel corso dei 6,5 milioni di anni di presenza nel pianeta; tuttavia oggi, in questo tempo civilizzato, assistiamo ad una evidente regressione mentale e comportamentale del genere maschile, di cui la globalizzazione è stata fattore scatenante».

È illuminante il saggio dello psicologo e mediatore familiare Roberto Collovati, che in «Aggressività e violenza maschile al tempo della globalizzazione» (Oltre Edizioni, 335 pagine, 18 euro) indaga sui femminicidi e cerca spiegazioni al fenomeno dilagante.

Dott. Collovati: in che modo la globalizzazione agisce sull’aggressività maschile?
La globalizzazione ha colpito soprattutto il maschio, nella sua dimensione identitaria, lavorativa e di potere e nella percezione di utilità, e anche sulla scena familiare è stato fortemente ridimensionato. Le donne da sempre e per forza hanno sviluppato resilienza, adattamento, socializzazione gruppale ed empatia anche in condizioni sfavorevoli e sono più attrezzate in un tempo storico difficile. Lo stress cerebrale generatosi nel vivere globalizzato ha indebolito le strutture psico-sociali e neurofisiologiche di tutela del genere maschile, che rimane spesso solitario e frustrato di fronte ad un passaggio epocale, che non riesce a controllare, gestire, condividere, con un forte timore di regressione sociale. Un fenomeno trasversale ad ogni «categoria sociale».

Quali sono i motivi principali che scatenano questa aggressività?
L’aggressività e la violenza si possono scatenare improvvisamente, senza preavviso e dopo anni di silente presenza, spesso per i cosiddetti «futili motivi». Certamente la conoscenza del soggetto nelle sue valenze emotive, educative, empatiche, di attaccamento e qualità della vita infantile rivela quasi sempre le cause scatenanti dell’aggressività, anche a distanza di anni. Un tragico errore diseducativo dei media è parlare di «normalità» di un individuo che si trasforma repentinamente in aggressività o violenza; la matrice è ben radicata e nascosta, salvo che all’interno di patologie conclamate.

Quando l’aggressività diventa omicida?
È un tema vastissimo, che ho trattato cercando le correlazioni evidenti tra psicoanalisi, neuroscienze e psicologia sociale che costituiscono la nuova frontiera di ricerca sull’argomento. Molte volte nella fantasmatica del soggetto, nel suo film d’azione, l’omicidio verso mogli, compagne, figli, parenti, fino al suicidio che azzera tutto (peraltro sempre più frequente...) appare un’azione sostenibile, lucida ed eroica, che rende giustizia verso un mondo ingiusto, divenendo un mito sacrificale.

Media e social contribuiscono a rendere l’aggressività sempre più letale?
Non sono un nemico, ma possono costruire e veicolare ogni genere di aggressività, violenza, conflitto, grande o piccolo. L’uso distorto conduce alle nuove forme patologiche di «demenza digitale» protagoniste del declino aggressivo della nostra società. Stanno lentamente modificandosi le strutture neurali del cervello umano, nelle nuove generazioni; lo confermano tutte le ricerche in corso. Si riducono le aree cerebrali deputate al controllo del pensiero, dell’azione, alla capacità empatica, riflessiva, affettiva. L’elaborazione e mediazione della difficoltà esistenziale perdono qualità, scivolando verso l’incapacità del controllo emotivo di sé. Ci vuole consapevolezza di questo.

Dal vasto apparato scientifico e filosofico da lei studiato, quali sono le conclusioni illuminanti che possono aiutarci a capire un fenomeno ormai allarmante?
L’aggressività e violenza trascurate e banalizzate, siano esse fisiche, verbali, politiche, anche solo gestuali, sdoganate e accettate passivamente e divenute uno stile di vita, un modo di essere affermativo e necessario, possono diventare un’epidemia che travolge tutto, transitando dal mondo micro-familiare verso quello macrosociale, geo-politico. Un fenomeno evidente, in atto. Un conflitto distruttivo si può generare ancora nella nostra Europa, pianificandolo e alimentandolo a tavolino attraverso i media e i social, mettendoci gli uni contro gli altri. Lo sviluppo umano non è mai conquistato definitivamente, può regredire in condizioni sfavorevoli, come quelle attuali. L’escalation gruppale, pulsionale, sregolata oggi è facile da realizzare: basta twittare compulsivamente senza pensiero.

 

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