Cultura

Il Savoldo «ricomparso» a Manerbio presto in mostra

Dopo quasi un secolo d’oblio, riscoperta pubblica per un prezioso ritratto opera del pittore bresciano
Il dipinto ad olio di Savoldo. Sarà visibile nella Rocca San Giorgio
Il dipinto ad olio di Savoldo. Sarà visibile nella Rocca San Giorgio
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Dopo quasi un secolo d’oblio, riappare un colto ritratto di Giovanni Gerolamo Savoldo. Il dipinto ad olio (m. 0,62 X m. 0,67) verrà esposto in un’elegante mostra allestita nella Rocca San Giorgio ad Orzinuovi, tra l’inverno 2018 e la primavera del 2019.

L’idea è del Comune e di Nuova Orceania che dopo aver dedicato, con successo, una mostra al pittore veneto Francesco Maffei (marzo-aprile 2018), ci riprova con un’opera di pregio del Savoldo, uno dei più grandi artisti bresciani del Rinascimento. Riappare così improvvisamente sulla scena della grande Storia dell’Arte italiana un’altra opera importante. Farà bella mostra di sé nell’esposizione dal titolo Il Savoldo ricomparso. La mostra, disposta dentro una scenografia teatrale, visto il soggetto militaresco dell’opera, sarà arricchita con alcune armature bresciane cinquecentesche, inserite in un contesto accattivante ed evocativo. Il dipinto è stato visto e riesumato in una importante casa di Manerbio. I proprietari ne hanno subito e gentilmente concesso il prestito per l’esposizione.

Le tracce. L’opera fa la sua ultima comparsa ufficiale in pubblico nel 1939, alla mostra «La Pittura Bresciana del Rinascimento», allestita nella città di Brescia, nel Palazzo della Pinacoteca Comunale Tosio-Martinengo. Poi scompare per circa ottant’anni da ogni dove: dai cataloghi, dalle citazioni, dal mercato antiquario, e non viene più citata, essendo entrata in collezione privata. Così, il Ritratto d’uomo (un armaiolo?) di Gerolamo Savoldo, come viene titolata la teletta dal critico Adolfo Venturi, viene dimenticata dalla critica e dal mondo, sino al punto d’essere considerata perduta. Nella seconda metà dell’Ottocento risultava in catalogo nella collezione del Barone Edgardo Lazzaroni (Roma 1892), che la ereditò dal padre Michele Angelo Luigi (Roma 1863), collezionista di opere d’arte italiane. La notevolissima raccolta, soprattutto di pitture rinascimentali, era stata messa insieme dal Barone e dalla moglie Viscontessa Maddalena de Bresson (Washington, 1866). Il nobile Michele, la cui famiglia era di origine cremonese poi trasferita a Bergamo, quindi a Roma, viene creato barone da Re Umberto I nel 1879.

La tela ritrovata è attribuita al pittore Savoldo da Adolfo Venturi (Modena 1856 - Santa Margherita Ligure 1941) che scrive sul catalogo della mostra bresciana del 1939: «Vi è in questo ritratto un esempio singolare dei notturni romantici del Savoldo. Il cielo va gradatamente illuminandosi ma la massa cupa del bosco è ancora all’oscuro; solo una luce improvvisa schiarisce il bel volto dell’uomo e si riflette sull’acciaio brunito dell’elmo...». L’attribuzione dell’opera al Savoldo da parte di uno dei massimi critici d’arte italiani lascia pochi dubbi sulla bontà dell’ipotesi. In verità altri studiosi e critici hanno avanzato qualche perplessità, basandosi su argomentazioni alquanto deboli. Del resto, volendo andare contro l’attribuzione del Venturi, se questo Ritratto virile non è opera del maestro bresciano, chi altri può averlo concepito ed eseguito con tale maestria estetica e contenuti simbolico-umanistici? Non si conosce con esattezza l’anno e nemmeno dove Gerolamo sia nato.

Le ipotesi non mancano, ma in assenza di documenti testificanti rimangono tali. La ragione principale che ha spinto la città di Orzinuovi a promuovere la mostra del Savoldo ritrovato, è il desiderio di avvallare in qualche modo l’ipotesi che l’artista abbia origini orceane: ipotesi consolidata più oggi che ieri. Gaetano Panazza affermava: «... dei tre maggiori pittori bresciani: Savoldo, Moretto, Romanino, Savoldo è il più anziano, pur non conoscendo la critica né l’anno della nascita, né il luogo, né la provenienza della famiglia... oggi si crede oriundo di Orzinuovi» (catalogo Electa 1990). E continua il critico d’arte affermando che la famiglia dell’artista (questo è certo) aveva un titolo di nobiltà d’ambito cittadino e non di origine istituzionale o feudale. E non ci si meravigli per tale autorevole affermazione. Era infatti la fortezza orceana un centro di potere, punto d’incontro di un’umanità varia ed articolata, dove transitavano artisti di alto lignaggio colà chiamati per «marcare» con la bellezza il territorio.

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