Cultura

Chiara Picchi: «Dall’Armenia approdo al concerto dal Quirinale»

Parla la musicista di Padenghe, primo flauto dell’Orchestra Cherubini diretta da Riccardo Muti
Chiara Picchi, primo flauto dell’Orchestra «Cherubini»
Chiara Picchi, primo flauto dell’Orchestra «Cherubini»
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«Quando, nella sala del Teatro Nazionale di Erevan, capitale dell’Armenia, sono svanite nell’aria le ultime note che chiedevano pace e invocavano insistentemente Dio, Padre Nostro e di tutti gli esseri viventi, mille spettatori si sono fermati, in un istante di commosso silenzio. Poi è esplosa una interminabile standing ovation».

Così la flautista di Padenghe, Chiara Picchi, primo flauto dell’Orchestra "Cherubini" diretta da Riccardo Muti, racconta il finale di «Purgatorio», brano del maggiore compositore vivente armeno, l’82enne Tigran Mansurian, eseguito il 4 luglio scorso nel «Paese delle pietre urlanti», per «Le vie dell’amicizia», progetto che dal 1997 visita luoghi-simbolo della storia antica e contemporanea, in un programma di collaborazione, dialogo e solidarietà fra i popoli attraverso la musica.

Il concerto, seconda anta del trittico ispirato alla «Commedia», è stato preceduto a fine giugno, a Ravenna, dai «Sei Studi sull’Inferno» del violoncellista Giovanni Sollima; il 12 settembre sarà la volta della luminosità ineffabile del «Paradiso», fra gli ori della Basilica di Sant’Apollinare in Classe, con una creazione originale del maestro ucraino Valentin Silvestrov. In quell’occasione, alla "Cherubini" si unirà il Coro del Maggio Fiorentino, a conclusione delle celebrazioni dantesche; dopo Ravenna, repliche a Firenze (il 13, data della morte di Dante) e il 15 a Verona, unendo idealmente sotto il segno della musica le tre città del poeta.

«Giovedì 29 luglio, sarò al Quirinale, per il "G20" dedicato alla cultura - aggiunge Picchi - con la Sinfonia n. 9 "Dal Nuovo Mondo" di Dvorák, trasmessa in diretta su Rai 1. Abbiamo già suonato alla Fenice di Venezia, alla Reggia di Caserta, a Taormina, a Bari, in tante altre città; in agosto ci aspetta il Ravello Festival».

Cosa ci racconta del «Purgatorio» di Mansurian? È una pagina molto evocativa, piena di suoni lunghi, armonici, singolari effetti timbrici, spruzzi di percussioni, con una scrittura vocale (coro e baritono) cristallina e cameristica. Al termine della serata Mansurian ha detto che «Dante è il padre non solo di voi italiani, ma di noi tutti» e Muti ha citato «Cantare amantis est», «chi canta (chi fa musica) ama». Con questo tipo di gemellaggi realizziamo un rapporto di comunione molto intenso. Davvero la musica può unire uomini, lingue e culture. Dalla cima dell’Ararat, in cui la tradizione riconosce l’approdo dell’Arca di Noè, la vita riprese a scorrere dopo il Diluvio. Mi piace pensare che al cospetto di quella vetta sacra e millenaria noi musicisti rinnoviamo il messaggio di fratellanza e di speranza nel futuro».

Chi desidera ricordare, fra le Sue ultime collaborazioni? Mi piace segnalare Leonidas Kavakos, violinista e direttore greco. Ha idee originali, illuminanti, un istinto prepotente. Trasmette il suo trasporto con un’empatia immediata. Vuole che l’orchestra canti in ogni momento. Nella poesia tutto è possibile, se sei abbastanza uomo, diceva uno scrittore americano. Vale anche per la musica: tutto è possibile, per chi è abbastanza coraggioso.

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