Cultura

Brescia scopre «Hammamet», fra nostalgia, delusione e stupore

Il film su Craxi racconta la fragilità umana di un re caduto. Fra gli spettatori pochissimi i giovani
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Dedicato all’unica coppia di ventenni presente l’altra sera al Cinema Sociale per «Hammamet». Una novantina di spettatori, età media sopra i cinquanta, pochi sotto i quaranta. Comprensibile, visto il soggetto e l’argomento, che richiede un minimo di conoscenza e interesse sulla nostra storia recente. Alla fine qualcuno si lascia sfuggire un «bello», qualcun altro sussurra all’amico che il film «fa pensare», altri commentano la straordinaria bravura di Pierfrancesco Favino: «Tale e quale Craxi».

I più tacciono con l’aria perplessa, come se stessero metabolizzando quello che hanno visto. C’è chi è deluso, forse più disorientato, perché si aspettava il racconto di Tangentopoli e di Mani pulite, con fatti, nomi e cognomi. Con delle rivelazioni, magari. Chi pensava ad una pellicola fatta per esercitare la memoria (oppure per solleticare la nostalgia) sul finale della Prima Repubblica resta a bocca asciutta. Nulla di tutto ciò. Il regista Gianni Amelio propone il dramma umano e politico di un re caduto dal trono.

Nessuna riabilitazione, nessun giudizio sul leader socialista. Mostra la parabola terminale di un ex potente, infiacchito dalla malattia, dal rancore, dalla nostalgia per l’Italia. Un leone ferito, l’arroganza di un tempo smussata dalla sofferenza fisica e morale, la convinzione di essere un perseguitato che contrasta con due condanne definitive.

Durante la proiezione nessuno fiata in sala. Il racconto ha bisogno di concentrazione per essere seguito. È un film che richiama soprattutto chi ha una certa età, ma dovrebbe essere visto anche dai giovani. Come la solitaria coppia di ventenni. Perché sullo sfondo della vicenda personale di Craxi vista da Amelio ci sono temi antichi come la storia degli uomini.

La caducità del potere, i vizi e le virtù del suo esercizio, i costi della politica, il suo rapporto con la magistratura e di entrambe con l’informazione, la fragilità della democrazia. Le parole di Craxi-Favino (oltre il destino del leader) propongono problemi che interrogano soprattutto le nuove generazioni. È anche un invito, in un Paese che rifugge la memoria, a studiare gli anni della Prima Repubblica.

Nei primi due giorni di proiezione «Hammamet» ha registrato in Italia oltre 53mila spettatori, secondo dopo il film di Zalone. Paola Vilardi, che ha un passato socialista prima della nascita di Forza Italia, l’ha visto ieri sera. I commenti. «Chi è stato craxiano - commenta - guardando il film rivaluta ancora di più l’uomo e il leader che è stato. La cosa che più mi ha colpito, che più mi ha fatto rabbia è il fatto che Craxi poteva essere curato in Italia e salvato. Non si è fatto quello che si doveva e poteva fare».

Il vice sindaco di Brescia Laura Castelletti è stata dirigente del movimento giovanile del Partito socialista e consigliere comunale del Psi. «Ero ad Hammamet il giorno del funerale di Craxi, nella cattedrale di Tunisi», racconta. «Un gesto di coerenza con la mia storia e di affetto per un leader lungimirante, non un latitante, ma un esiliato in un Paese straniero». Andrà a vedere il film. «In questi giorni - aggiunge - avvicinandosi i 20 anni della morte, il 19 gennaio, la cosa che mi dà più fastidio è vedere certa sinistra rendergli omaggio. La stessa che allora fece una guerra brutale contro Craxi e i socialisti. Serve una rilettura politica di quel periodo, ma non da parte di chi partecipò al massacro».

Il film di Amelio si chiude con una scena che richiama gli spettacoli del Bagaglino, con Craxi imputato al centro della scena. L’immagine di una politica, oggi sì, ridotta a cabaret.

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