Cultura

Ascoltare musica brutta (o diversamente bella)

Francesco Roggero è il più grande esperto italiano di musica brutta. Che cos'è? Per scoprirlo, ecco la sua top ten
Francesco Roggero
Francesco Roggero
AA

È il più famoso dei bresciani non famosi, tra il 2006 e il 2010 ha lavorato con Chiambretti da stagista, poi come redattore, adattatore testi e autore nei programmi Markette e Chiambretti Night, fino a quando non si è stufato e ha trovato posto in un canale di televendite. Ora gira per i locali con i dj set Megamix e con i Da Rozzo Criù, mentre la band di culto «Il culo di Mario» è stata sciolta pochi mesi fa dopo un litigio.


Francesco Roggero, nato a Brescia 33 anni fa e ora residente a Milano, precisamente a Tangenziago (che sarebbe Crescenzago), è anche l'inventore della Giornata mondiale delle fettine panate (il 17 dicembre), ispirata da un video in cui in «Kiss me Licia» (versione italiana, telefilm) vengono ripetute per un numero svariato di volte, appunto, le parole «fettine panate». Il remix del dialogo surreale, lungo 10 minuti, ha collezionato oltre mezzo milioni di visualizzazioni su Youtube. 

 

 


Ma Roggero è soprattutto il più grande esperto italiano di musica brutta, o diversamente bella, un genere a cui ha dedicato un blog, Orrore a 33 giri, fondato con Vittorio Papa nel 2006 e cresciuto in modo notevole, tanto che da cinque anni è stabilmente tra i primi dieci siti musicali nei Macchianera Awards e conta 86 mila follower su Facebook. Ci sono sei redattori che se ne occupano, per dire. Nella veste di intenditore Roggero sarà stasera alla Riserva del grande, in via Paganora, per il primo appuntamento di Musica leggerissima, con un dj set a tema preceduto dalla presentazione del primo album di Auroro Borealo, che è poi sempre lui. L'ingresso è gratuito, si inizia alle 21.

 

Francesco Roggero
Francesco Roggero


«Il primo articolo che abbiamo pubblicato, nel 2006, era su Mauro Repetto - racconta Roggero -. Negli 883 lui ci ha messo l'entusiasmo e i testi, però aveva il problema che non sapeva suonare nessuno strumento. Ma è stato lui a parlare con Cecchetto all'inizio, perché Max Pezzali era troppo timido». Per i fan Repetto era quello che ballava, in effetti con una buona dose di entusiasmo, fino a quando uscì dal gruppo nel 1993, dopo il secondo disco, pubblicando poi «Zucchero filato nero», l'unico album da solista. «Avrebbe dovuto essere la colonna sonora del suo film, ma non l'ha mai girato». E Repetto ora che fa? «L'attore di teatro off, per un periodo è stato anche coordinatore delle coreografie di Eurodisney Parigi».

 


Nella hit parade di Orrore a 33 Giri c'è un live di Pupo in Canada. «È il classico cd da cestone dell'autogrill, in cui Pupo millanta un concerto in Canada che non sappiamo se ci sia mai stato, quello che è certo è che le canzoni sono palesemente registrate in studio con applausi e urla aggiunte. Una cosa molto comune negli anni 80/90, ma qui è veramente smaccato».

 

 

Orrore ha contribuito anche a moltiplicare le visualizzazioni del trio russo che canta Nek, facendole passare da poche migliaia a oltre tre milioni. «Ci sono questi tre russi della Circassia che si esibiscono con una cover dance di "Se una regola c'è", vestiti con abiti anni Novanta, in un italiano assurdo. Il risultato è devastante». 
E come trovate queste canzoni? «Dopo un po' che ci lavori diventi una sorta di polo d'attrazione, arrivano robe di ogni tipo. La differenza è che su queste cose noi ci impegniamo, possiamo dare tutte le informazioni su questo trio, come sugli altri artisti». La musica diversamente bella, brutta, leggerissima, chiamatela come volete, è una cosa seria. E non è trash. «Il trash è finito con la morte di Tommaso Labranca. Ora non ha nemmeno più senso come categoria perché con Youtube è esploso, uscendo dalla nicchia. Noi ci concentriamo solo su uscite discografiche ufficiali, o quasi, e non sui fenomeni di Youtube, ben più recenti». 

 

 

Proseguendo nella classifica dei preferiti di Orrore, c'è Pippo Franco. «Quando l'abbiamo contattato nel 2007 non ci ha considerati, non voleva avere niente a che fare con il web. Ora però è tornato con una versione 2017 di Che fico. Possiamo dire di averlo riscoperto prima che si riscoprisse da solo».

 

Pi
 


Uno dei pezzi più letti è quello dedicato agli «anni della droga» di Vasco Rossi. «Abbiamo cercato di fare una lettura critica dei suoi album tra il 1978 e 1984, concentrandoci sulla musica e sui riferimenti storici della sua vita, lasciando però stare il mito. È il suo periodo migliore, dopo avrebbe dovuto smettere». 

C'è un mistero che attanaglia i fan delle sigle dei cartoni animati, una sottocultura particolarmente attiva qualche anno fa. «Nessuno sa chi abbia cantato la sigla di Lamù, che andava in onda su una tv locale. Sembra che ci sia addirittura dell'omertà sul tema. Noi abbiamo raccolto le varie fonti, tutte le ipotesi, facendo anche capire, però, che alla fine uno se ne può anche fregare di chi l'abbia cantata».


Poi c'è Mitola, Donato Mitola. «Lui è un vero eroe sconosciuto, reso famoso da Mai dire tv della Gialappas, il più geniale programma televisivo degli ultimi trent'anni. Hanno anticipato tutti, pure Youtube, andando a cercare tra le reti locali. Tra le loro scoperte c’è appunto Mitola, un cantante di Torino che faceva pezzi a sfondo sessuale tipo "Licantropo" e "Il vampiro". Non si sa che fine abbia fatto, ma siamo vicini a trovare la soluzione. Non fatemi dire nient'altro». Roggero, tra l'altro, ha la faccia di Mitola tatuata su una gamba.

 



 

Forse a qualcuno è sfuggito il fatto che Alessandra Mussolini abbia fatto un disco. Cantato per metà in italiano, con testi di Malgioglio, e per metà in giapponese. «È stata big in Japan prima di tutti, ma adesso l'album è praticamente introvabile. Risale al 1982, nel periodo in cui faceva la playmate».





C'è poi la trascinante versione di «Let it be», dei Beatles, fatta da Nino D'Angelo. Il titolo? «Gesù Crì». «Ogni volta che la presento durante qualche conferenza finisce sempre con il pubblico che canta "Gesù Crì, Gesù Crì...". È pura viralità. È un pezzo con il potere magico delle cose fatte involontariamente». Nino D'Angelo aveva scritto il testo da bambino, conservandolo poi fino al giorno in cui ha cantato la canzone da Red Ronnie in una serata dedicata ai Beatles. Entrando nella leggenda.

 


 


Infine, Sanremo. «Quello del festival è il periodo dell'anno in cui abbiamo più visite, abbiamo playlist dedicate alle canzoni più brutte di ogni decennio, oltre a quella sulle più brutte in assoluto. Sanremo è lo specchio della nostra musica, per noi è una fonte inesauribile».

Arrivati in fondo alla top ten, proposta in ordine del tutto casuale, resta la domanda su cosa faccia diventare una canzone brutta o diversamente bella. «Accade quando una canzone è talmente brutta che fa il giro e diventa bella. Oppure quando viene sottovalutata e poi dopo anni si capisce che è bella. C’entra anche la nostalgia. Prendi il peggio di un'epoca, gli dai 15 anni e poi vedi cosa succede quando quelli che lo ascoltavano da bambini diventano maggiorenni. Ci concentriamo sugli scarti, su quello che gli altri buttano, perché raccontano molto meglio le diverse epoche». E oggi? Chi sono i diversamente belli? «Tra quindici anni scriveremo di Rovazzi e Fedez, che sono come il Pulcino Pio». Che, nel frattempo, ha superato il miliardo di visualizzazioni su Youtube.


Post scriptum

Siccome i veri eroi, però, sono quelli che restano indietro, gli esclusi per sempre, ecco un paio di illustri sconosciuti per le fredde serate autunnali (e anche oltre): 

Magic Voice: un artista incompreso che ha vissuto sulla panchina della stazione di Rimini e che nel frattempo è riuscito a infilare un singolo di successo nella riviera romagnola: «Ciao Ciao Lulù».

Ned Lad Uranio: delirante artista napoletano sempre in bilico tra follia e genio, con testi che partono dalla critica sociale e finiscono alle tipe che non ci stanno. 

Può bastare? Per il momento sì, ma il filone pare inesauribile. C'è chi ha detto che il rock'n'roll gli ha salvato la vita, ma evidentemente non conosceva ancora la musica brutta.

 

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia