Cultura

Al Festival di Cannes premiati «Titane» e la Francia

A vincere la 74/ma edizione il film inaspettato della trasgressiva e cultrice del corpo Julia Ducournau
  • Festival di Cannes 2020
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A mettere d'accordo tutti in questa edizione «pandemica» della 74/ma edizione del Festival di Cannes senza troppi picchi è stato un film inaspettato come Titane della trasgressiva e cultrice del corpo Julia Ducournau. Un premio che in un colpo solo premia una regista e la Francia. Un horror-thriller infernale che non guarda in faccia a nessun tabù, con dentro la figura dell'ermafrodito, il sesso con le macchine, gli steroidi e una gravidanza piena di olio motore con tanto di musica sacra in sottofondo. E non finisce qui, in questa edizione che ha visto il più confuso dei presidenti di giuria, Spike Lee, pronto ad anticipare la Palma d'oro: alla Francia va anche il premio della giuria con Annette di Leos Carax, opera-rock alla Pete Townshend, con protagonisti Henry (Adam Driver), stand-up comedian, e Ann (Marion Cotillard) cantante classica dall'animo puro. Era impossibile immaginare poi che il film dell'iraniano di Asgar Farhadi, A HERO, non fosse entrato nel Palmares.

Ancora una volta una storia di persone semplici, indifese, alle prese questa volta con prigione, una borsa piena di soldi è la mutevolezza dell'opinione pubblica. Al film, che sarà distribuito in Italia da Lucky Red, è andato il Grand Prix, il secondo premio per importanza. Un premio condiviso con Compartiment No.6 del finlandese Juho Kuosmanen. Un'altra opera difficile e adattamento del romanzo di Rosa Liksom. Lo scompartimento del titolo è quello di un treno della Transiberiana diretto a Ulan Bator negli anni '80. Dentro due protagonisti anti-glamour: una donna intellettuale omosessuale che studia i petroglifi e un minatore rozzo e ubriaco. Miglior attrice è risultata invece la norvegese Renate Reinsve protagonista di The worst person in the world del regista danese Joachim Trier, film che si muove su tanti piani e altrettanti teatrini, ben dodici come ricorda il titolo. Partenza in commedia e poi arriva l'ombra lunga della morte.

Nitram, film straordinario dell'australiano Justin Kurzel, che racconta, con un impianto shakespeariano, la tragica strage di Porth Arthur, si porta a casa un premio non da poco: quello andato all'attore Caleb Landry Jones (nei panni del pluriomicida Martin Bryant). Bellezza formale, un auto d'epoca (una Saab 900), teatro ed estetica giapponese hanno regalato invece a Drive my car di Rysuke Hamaguchi il premio per la migliore sceneggiatura. Il film è l'adattamento del racconto omonimo di Haruki Murakami.

Il premio della giuria, infine, va Memoria del tailandese Apichatpong Weerasethakul con protagonista Tilda Swinton nei panni di una coltivatrice di orchidee. Film metafisico, antropologico, animista e, questa volta, con un pizzico di fantascienza. Anche qui il premio raddoppia e, nella tradizione di questo festival sempre attento alla politica, fa vincere anche Ahed's knee di Nadav Lapid con il suo atto d'accusa contro il governo israeliano e la sua politica culturale. Di scena, per il regista da sempre vicino all'Hadash, l'ex partito comunista israeliano, una storia autobiografica, ovvero quella di un cineasta molto appassionato che si ritrova in viaggio. Arrivato nello sperduto villaggio viene accolto dalla vicedirettrice delle biblioteche israeliane. Con lei intraprende un appassionato dibattito in cui il regista mostra provocatoriamente il formulario («di sottomissione», così lo chiama) da riempire per avere il sostegno dello Stato, un modulo in cui sono bene accetti solo i film che danno una bella immagine del Paese e del suo popolo o che trattano di certi argomenti. 

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