Cultura

Addio a Limonov, il rocker della letteratura russa

Emmanuel Carrere gli dedicò la biografia romanzata «Limonov», che lo ha reso famoso nel mondo
Eduard Limonov, sulla copertina della biografia romanzata scritta da Carrere
Eduard Limonov, sulla copertina della biografia romanzata scritta da Carrere
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È morto a Mosca, all’età di 77 anni, lo scrittore e attivista politico russo Eduard Limonov. Tra le sue opere più note, «Sono io, Edichka» e «Libro dell’acqua». Emmanuel Carrere gli dedicò la biografia romanzata «Limonov».

Poeta, scrittore, dissidente, politico (ma soprattutto bastian contrario), Limonov è scomparso (pare) in una clinica privata (forse) dopo una lunga battaglia «oncologica». Ma poiché Limonov è Limonov, al momento non si sa di più e le cause della sua dipartita di preciso non si conoscono. Si sa che lo scorso 13 marzo aveva annunciato di aver firmato un contratto per un libro «già scritto», l’ultimo colpo di teatro di un uomo vissuto senza farsi sconti. 

Limonov, naturalmente, è stato reso celebre fuori dalla Russia dal fortunatissimo omonimo libro di Emmanuel Carrère, forse primo caso al mondo di autore più celebre come personaggio che come scrittore.

In realtà in patria Limonov era conosciuto da tutti. Per i suoi libri, certo, e pure per le sue incursioni nel reame della politica. Sintetizzare i suoi 77 anni in scena è quasi impossibile. Ci sono gli anni sovietici, l’ascesa dal nulla al glamour a colpi di parole, l’esilio americano, il periodo francese, il rientro dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli anni folli della politica «riformista», combattuta dalla colonne del suo giornale Limonka (bomba a mano, in russo) e dalle fila del suo partito, i Nazional-Bolscevichi (alias Naz-Bol). Una militanza - condivisa con Alexander Dugin, il filosofo ultranazionalista spesso descritto come l’ideologo di Putin - che nel 2001 gli è costata la galera, per attività sovversiva e anticostituzionale. 

Limonov in principio ha infatti criticato Putin duramente - «ci ha rubato il programma», diceva - ma poi, dopo l’annessione della Crimea nel 2014, lo ha in qualche modo riabilitato, benché sorpassandolo subito a destra. La sua posizione sulla questione ucraina era a dir poco integralista - «è un Paese di fantasia e finirà smembrato» - e, se fosse stato per lui, avrebbe inviato i tank russi in mezza Europa.
«Vorrei morire in battaglia», raccontava.

In realtà si è spento in un letto di un ospedale. Ma la lotta politica - e la scrittura - non sono mai state troppo lontane dal suo baricentro, dato che aveva fondato un nuovo partito (l’Altra Russia) e recentemente aveva aderito alle manifestazioni di protesta contro la riforma costituzionale ideata da Putin. Nell’ultimo periodo si era rimesso in viaggio, ospite nel 2018 del salone di Torino (prima trasferta all’estero dopo essere rientrato in Russia negli Anni Novanta), per presentare il romanzo autobiografico «Zona Industriale». «Carrère? Ci saremo visti tre volte». Come dire: ha montato la panna. «Ma per me è stato fondamentale, mi ha fatto conoscere».

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