Conti e Porro al GdB: «Vi raccontiamo la nostra America’s Cup»

C'è tanta Brescia nello storico successo di Luna Rossa all'America's Cup femminile. Giulia Conti e Margherita Porro, le due timoniere bresciane dell'imbarcazione che ha trionfato a Barcellona, sono state in visita al Giornale di Brescia per raccontare l'impresa storica centrata in Catalogna.
Giulia Conti
Conti, che emozioni le ha dato questo trionfo?
«È stato figo! C’erano amici, parenti, mi sono sentita super supportata. E la premiazione è stata incredibile: mai vista così tanta gente a cantare l’inno».
Una romana-gardesana e una clarense al timone dell’Ac40: in che lingua comunicavate?
«Diciamo in inglese-bresciano. Tipo ogni tanto usciva un “ocio”. In estate ci siamo allenate facendo parlando in inglese, poi in regata le abbiamo fatte in italiano...».
Quanto conta il feeling in barca?
«È fondamentale. Io e Margherita ci siamo dette più volte di quanto ci stimiamo. Una volta le ho detto che di lei mi sono sempre fidata ciecamente. E quando avevo la tensione pre-partenza, lei dall’altra parte mi tranquillizzava».
Ha iniziato coi monocarena, è stata l’ultima a rischiare di vincere la Centomiglia non su un catamarano, ora questa vittoria storica su una barca volante. Come è possibile?
«Ogni volta uno step per trovare la sintonia con la barca: l’ultimo mi è costato, questa barca velocissima, quasi mi metteva paura. Ma sono felice di essermi spinta oltre».
Quanto è stato duro il percorso durato 10 mesi?
«L’unità del team ha fatto la differenza. Non è stato tutto rose e fiori, alcune giornate erano infinite. Ci sono stati alterchi, ma li abbiamo sempre risolti parlando».
Si è sentita chioccia del team?
«No perché ero una novellina della barca. Il collante vero è stata Giovanna Micol».
Che differenza c’è tra Olimpiade e America’s Cup?
«I Giochi, sbagliando, li ho sempre vissuti con troppa pressione. Quando iniziarono, a Rio, non vedevo l’ora che finissero. Qui no, forse perché c’era un team così grande dietro con cui condividere la mia tensione. Ancor prima delle regate, io sentivo di avere già vinto per il gruppo che avevamo creato».

E il futuro cosa riserverà?
«Ad ora di partire per un viaggio, farò un mese e mezzo in Sudamerica. Ma al momento sono disoccupata: non nego che gli 8 anni da allenatrice mi sono molto piaciuti. E non sappiamo che ne sarà del team femminile di Luna Rossa».
A proposito, patron Patrizio Bertelli dopo l’uscita degli uomini ha detto che si va avanti con i giovani, che non è ancora tempo degli equipaggi misti. Che ne pensa?
«Ci sarà un circuito Ac40, spero che le donne facciano altra esperienza. Bisogna vedere quando sarà la prossima coppa: magari tra due anni è presto per gli Ac75, magari per quella dopo verremo scelte per la capacità e non per obbligo. Sicuramente lo vedremo prima in altri paesi, in Italia c’è un retaggio culturale. Bertelli ha fatto dichiarazioni non piacevoli, le vedo come un accanimento sul genere femminile. Spero che si aprano più possibilità nella vela per le donne».
Curiosità: perché si è trovata sul Garda?
«Mia madre è camuna di Rino di Sonico ed i suoi genitori si sono poi trasferiti a Toscolano Maderno. Quando mio padre è salito al Nord per lavoro, ci siamo detti, perché no? Ho casa a Brescia, ma sto finendo la ristrutturazione di un piccolo appartamento a Maderno per rimanerci».
Una vita con la valigia in mano, esiste un concetto di casa?
«La cosa che più mi stressa e non sapere dove mettere i miei vestiti. Ma diciamo che per me il lago di Garda è casa».
Margherita Porro

Ha metabolizzato quanto successo?
«Da poco ho iniziato a rendermi conto di quello che abbiamo ottenuto, soprattutto ripensando alla finale unica. È stata una settimana molto complicata, soprattutto il giorno delle semifinali, lunghissimo, stressanti, dovevamo resettare tutto dopo una prova non bella. Lì ci ha aiutato non solo la forza del gruppo, ma anche il nostro allenatore Simone Salvà. Mi sono sentita protetta, come in una famiglia, anche dalle ragazze a terra».
Come è nata l’intesa con Conti?
«Credo che ci siamo divise bene i ruoli. Io guardavo le pressioni del vento, Giulia gli incroci. È stato il nostro punto forte. Siamo fiere di quanto fatto in così poco tempo e sono grata di avere avuto vicina una come lei. Sono testarda, lei mi ha fatto riflettere su molte cose, anche grazie alla sua esperienza. Il momento più bello è stato un messaggio che ci siamo scritte dopo una regata».
A differenza della collega, lei ci è quasi nata sulle barche volanti?
«La prima volta su un foil è stata a 12 anni sul Garda. Avevo provato il Moth di Stefano Rizzi e me ne ero innamorata: ma pesavo 45 chili e con 5 nodi di vento volavo... Poi ho comprato un Waszp appena uscito: lo reputavo da sfigati perché ero l’unica, ma mi sono fidata di mio padre. La cosa migliore secondo me è alternare classi olimpiche e foil per apprendere appieno l’evoluzione della vela».
La prossima sfida sarà quindi ai Giochi di Los Angeles?
«Le Fiamme Gialle mi hanno dato una grande opportunità facendomi fare la Coppa America, non è da tutti. Ma il mio sogno è sempre stato fare le Olimpiadi: si vedrà».
Aver vinto l’America’s Cup può aprire delle porte?
«Ad alcune di noi si sono già aperte. Il grande cambiamento è stato a livello mediatico: prima quando vincevi una regata non ti filava nessuno o quasi, adesso hai la tua figura, ci sono vari riconoscimenti. Le opportunità più grandi arriveranno tra qualche mese».
C’era molta aspettativa sulla squadra maschile, avete vinto voi: avete percepito invidia?
«Da parte dei ragazzi del team no, anzi erano i primi ad abbracciarci ed a festeggiare con noi. Non era scontato. Spostata l’attenzione dopo la loro eliminazione? No, ma ho visto i loro visi dopo la sconfitta, loro credevano all’obiettivo e non averlo raggiunto è stato distruttivo per molti. Quando abbiamo vinto ci hanno detto che gli avevamo fatto tornare il sorriso. Abbiamo lavorato insieme, ci hanno tirato su il morale quando eravamo stanche. Alla fine è stata una vittoria di team, non solo nostra».

Avevate una canzone che vi accompagnava prima delle regate?
«Abbiamo creato una playlist su Spotify che usavamo nello spogliatoio. La principale era Thunder degli Imagine Dragons, poi It’s about damn time di Lizzo, We are golden di Mika e infine Freed from desire di Gala che usavamo per i balli».
Dopo questo trionfo, cosa si chiede a Babbo Natale?
«Miuccia Prada ci ha regalato una borsa. Ma non voglio altro, sono molto serena».
Fate circa 300 giorni all’anno in giro, può esserci ancora una casa vera e propria?
«Sì, per me è a Chiari, dove abita la mia famiglia e dove ci sono il mio cane e il mio gatto. A me serve stare vicino ai miei genitori, anche pochi giorni al mese, per fare un punto della situazione. Siamo in un turbinio di eventi, a volte serve fermarsi per comprendere cosa sto vivendo. Per me le vacanze significano stare a casa, non andare chissà dove. Magari andiamo in montagna o al lago d’Iseo, ma sempre in famiglia».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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