Ugo Maranza da Ospitaletto, il girovago del pallone

Premiato l'8 ottobre con la Panchina d'Oro dall'Aiac bresciana di Paolo Dosselli come preparatore atletico dell'anno («Un grande onore»), Ugo Maranza ha partecipato a Teletutto alla trasmissione di Giorgio Zanetti «Brescia è la numero 1», concedendosi poi ai nostri taccuini: il ritratto che ne esce è di un uomo, un professionista, prima di tutto innamorato del calcio.
«Mi piace ricordare sempre da dove ho mosso i primi passi - racconta il classe '61 originario di Ospitaletto - al Ravenna in C2». Era il 1991: «La società mi conosceva perché avevo rimesso in piedi 2-3 loro giocatori da problemi alle ginocchia. Avevano bisogno di una figura poliedrica, e mi chiesero di andare. Accettai subito, e lì conobbi Del Neri».
Maranza, infatti, nasce come riabilitatore che dopo gli studi si specializzò al Centro Marathon di Brescia Due: «Sono stato lì 7-8 anni, è stata una palestra importante. E ripensando al passato, fare tanta gavetta nei campi di provincia è stato fondamentale: il Pescara con Galeone e con Allegri che era già un allenatore in campo, oppure Nocerina, Novara, Ternana... ho visto tutti gli stadi d'Italia, fantastico».
Dalla Romagna germogliarono i presupposti che poi portarono alla cavalcata incredibile dei clivensi: cosa c'era dietro il Chievo dei miracoli? «Non so dire quale possa essere stata la chiave. Lavoravamo come bestie, e i ragazzi in campo correvano il doppio degli altri. Del Neri poi è un maestro di tattica: la difesa a 4 come la insegna lui non la insegna nessuno. Avevamo il necessario: due figure dirigenziali (Campedelli e Sartori), uno staff affiatato e un gruppo di ragazzi sconosciuti o rifiutati dalle grandi squadre che erano pronti a tutto».
Dopo il Chievo, la parentesi nel Porto: «Venivano dalla vittoria della Champions, dopo Mourinho... fu complicato, ci furono incomprensioni tattiche con la squadra e finì ancora prima di cominciare». Poi la Roma, e anche lì non fu un'esperienza semplice, anche se stavolta Maranza rimase a Trigoria dopo le dimissioni di Del Neri: «A Roma c'è tanta pressione, e per allenare in certe piazze non basta essere bravi tattici. Serve anche altro per reggere le aspettative. Io per esempio sotto pressione mi esalto. Ho sempre un bel ricordo della Roma».
Dopo Palermo e Chievo le strade di Del Neri e Maranza si separano («Ci siamo persi di vista, mi è dispiaciuto») e nel 2012 per lui si aprono le porte di un'esperienza all'estero, al Rijeka (Fiume, in Croazia): «Mi dovevo occupare di tutto, dalla preparazione atletica alla riabilitazione, all'organizzazione degli allenamenti, all'alimentazione. Devo dire che costruire da zero mi dà una forza, una carica incredibile. Ho rivisto lo stesso entusiasmo vissuto con il Chievo in B».
Uno scudetto, due coppe nazionali, una supercoppa, svariate qualificazioni in Europa: «Una cavalcata meravigliosa, più l'esperienza personale e umana in un posto che non conoscevo». Il giocatore che ha dato più soddisfazioni da preparatore? «Sarebbe facile dire Totti, un campione straordinario. Ma dico Bernardo Corradi, professionista esemplare». Ora Maranza si è preso una pausa per motivi personali «ma non ho certo intenzione di smettere. Ho ancora il fuoco dentro. Mi piacerebbe un'esperienza in Inghilterra, sono sincero. Il Brescia? Beh, da bresciano come potrei rifiutare, sarebbe il massimo».
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