Rugby

Rugby, addio a Carlo Bianchi: fu colonna del Brescia scudettato

Seconda linea atipica, esordì in prima squadra nel 1966 in serie B. Aveva 76 anni ed era malato da tempo
Bianchi, nella foto di squadra, è il quinto da sinistra nella fila in piedi - © www.giornaledibrescia.it
Bianchi, nella foto di squadra, è il quinto da sinistra nella fila in piedi - © www.giornaledibrescia.it
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Se n’è andato un altro pezzo del Rugby Brescia campione d’Italia nel 1975. Carlo Bianchi aveva 76 anni ed era malato da qualche tempo. Fisico asciutto, ma con grandi doti atletiche, è stato una delle colonne del rugby bresciano a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, disputando con i color biancazzurri quasi 150 partite nell’arco di nove stagioni, l’ultima quello dello scudetto.

Era una seconda linea atipica: alto, dotato di ottima elevazione in touche, ma leggero per quello che sarebbero diventati gli standard del rugby moderno, che in quel ruolo privilegia oggi dimensioni fuori scala e la forza bruta. Aveva esordito in prima squadra a gennaio del 1966 in serie B contro il San Donà e la sua carriera è stata parallela a quella del club che in quegli anni fu capace di passare dalla seconda serie al titolo di campione d’Italia.

Nella stagione 1973/1974, quella che mise le basi allo scudetto dell’anno successivo, David Cornwall, giocatore-allenatore, affidò a lui la fascia di capitano: la squadra era composta ancora in gran parte di bresciani, per i quali Carlo Bianchi era un esempio e un riferimento autorevole. Ma anche l’anno dopo, quello del titolo tricolore, Bianchi fu capace di mantenere il posto di titolare, nonostante l’arrivo durante l’estate di un robusto contingente di rinforzi dalla nazionale (Bonetti, Bollesan, Fedrigo e altri ancora): in quella cavalcata passata alla storia disputò ben 19 partite, tutte dal primo minuto. Carattere taciturno, aplomb britannico, era il contraltare di quelli che Bollesan chiamava «i suoi banditi». Il suo era un rugby di «gentlemen», in cui faceva pesare i fatti, accompagnati dal silenzio, più delle parole delle quali, sia in campo, che negli spogliatoi, non era certo prodigo.

Tonino Spagnoli, altro giocatore della formazione campione, lo ricorda con affetto come un ingranaggio fondamentale di quella macchina capace di portare a Brescia il titolo di campione d’Italia: serio, affidabile, uno su cui si poteva asempre contare nei momenti chiave. Qualità che gli sono valse anche una brillante carriera di lavoro, nel settore assicurativo, e che trasportò anche nella sua seconda passione sportiva, lo sci alpinismo, dove è stato protagonista di numerose salite oltre i quattromila metri, spendendosi anche come organizzatore di varie manifestazioni tra le quali il Rally dell’Adamello. Insomma, il cosiddetto uomo di sport a tutto tondo.

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