Rugby

Piardi: «Ho cominciato per guadagnare qualcosa, sarò arbitro al Sei Nazioni»

L'emozione del fischietto bresciano di rugby: «Dopo la designazione mi ha scritto Orsato: è un gesto che ho apprezzato»
Andrea Piardi, arbitro internazionale di rugby - Foto Daniele Resini/Fotosportitq
Andrea Piardi, arbitro internazionale di rugby - Foto Daniele Resini/Fotosportitq
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La storia di Andrea Piardi, primo italiano, dopo 25 anni di attesa, a essere designato come arbitro nel Sei Nazioni, parte dal Fiumicello, come giocatore, per poi approdare al Brescia, dove Gianluca Gnecchi, l’amico di sempre lo convince a frequentare, entrambi ancora teenager, il corso che farà dei due i più titolati arbitri italiani della storia.

Gnecchi «referee» della finale dei Mondiali Seven del 2022 e l’estate prossima arbitro, sempre nella specialità «ridotta», alle Olimpiadi di Parigi; Piardi direttore di gara nella finale dello United Rugby Championship, tra Stormers e Munster, la scorsa estate a Città del Capo, assistente di linea alla recente Coppa del Mondo in Francia e ora pronto a fare il debutto a Dublino, per Irlanda-Galles, nel torneo che lo consacrerà primo italiano a fischiare nel Sei Nazioni.

«Abbiamo cominciato così, io e Gianluca, per guadagnarci qualche soldo nel fine settimana - racconta Piardi -. Mi divertivo? All’inizio non molto se devo essere sincero, però mi piaceva, sennò non sarei arrivato dove sono».

Quale è la molla che fa di un giovane sportivo, un rugbista, uno che sciava bene («adesso non posso più, è troppo rischioso…») un arbitro capace di arrivare ai più alti vertici internazionali?

«Senz’altro la passione per lo sport in generale. Non posso dire quella per l’arbitraggio, che è venuta col tempo. Certo anche all’arbitro la partita procura belle scariche di adrenalina, ma è un’adrenalina diversa da quella dei giocatori: è concentrazione, capacità di prendere decisioni in una frazione di secondo cercando di non farsi condizionare da un boato del pubblico, da una protesta dei giocatori».

Ma l’arbitraggio è un fatto istintivo o è frutto di ragionamenti rispetto al contesto e alle situazioni?

«L’arbitro prepara la partita, analizza il comportamento delle squadre e dei giocatori, si appunta delle osservazioni che condivide con lo staff insieme al quale affronterà le vicende del campo. Con il tempo ci si costruisce una griglia mentale, uno schema, in cui si inseriscono le cose che si vedono durante il match e in base alle quali si fischia in modo quasi automatico, in tempo reale. Detto questo, quando sei in campo, sai sempre quanto vale la tua decisione. Sei consapevole se quello che stai per fare può decidere la partita o se sarà un episodio interlocutorio».

Tmo, che nel calcio si chiama Var, bunker, che ai Mondiali tramutava in rosso un cartellino giallo: l’arbitro secondo lei conta sempre meno?

«L’arbitro è l’unico che deve affidarsi ai suoi occhi, anche quelli a casa hanno il replay. Il problema è la ricerca sempre più esasperata della perfezione. Gli interessi sono diventati enormi e non si accetta che l’arbitro possa sbagliare. Quindi ben venga la tecnologia, non si può più farne a meno».

Nel calcio le conversazioni tra Var e arbitro sono private, nel rugby tutti le possono sentire…

«Per me è essenziale che tutti possano ascoltare le mie spiegazioni, come siamo arrivati a certe decisioni. Non sarei a mio agio se le cose funzionassero diversamente».

Che rapporti avete voi del rugby con i vostri colleghi del calcio?

«Nessuno, però quando ho ricevuto la designazione per il Sei Nazioni, Daniele Orsato (l’arbitro italiano che aveva preso parte alla Coppa del Mondo in Qatar, ndr) mi ha mandato un messaggio di complimenti. Non ci conoscevamo. È un gesto che ho apprezzato molto».

Una curiosità: quanti fischietti avete in dotazione?

«Ognuno si compra il suo, generalmente si acquista su internet. Io ne ho uno solo, sempre quello, non lo cambio mai, è un talismano».

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