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Mondiali a bordo campo, e quella lacrima di gioia

Simone Spada è in Brasile e fotografa i Mondiali per LaPresse. Un successo da dividere col fratello gemello
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Brasile-Croazia, match inaugurale dei Mondiali. Simone Spada da Brescia è lì. Pensa ai genitori, a Davide e alla fidanzata. Si sente parte di qualcosa di grande e bello. E quando l’arbitro fischia l’inizio gli scende una lacrima sulla guancia.
 
Simone è in Brasile per lavoro. Sta tutti i giorni a bordo campo. Fotografa la Coppa del Mondo per l’agenzia LaPresse. Che da tempo fa affidamento sui gemelli bresciani dell’obiettivo: Simone e Davide, soci nella Spadareporters Photographers, nati il 26 ottobre del 1977. E in realtà in Brasile, al posto suo, poteva benissimo esserci Davide. Sì, perché per LaPresse i gemelli sono una persona sola. Bravi e affidabili in egual misura. Solo che Davide era già stato «precettato» per il ritiro della Juventus che aveva seguìto pure l’anno precedente. Così la scelta è ricaduta giocoforza sul «gemello S».
 
Come sei arrivato a questa esperienza?
«Ci sono arrivato con grande umiltà, sapendo di avere la possibilità di crescere molto dal punto di vista professionale, lavorando al fianco di colleghi che operano da anni a questi livelli. D’altro canto sapevo che la possibilità che mi era stata concessa era il frutto di quello che io e Davide abbiamo seminato negli anni. Un lavoro fatto di studio, ricerca, sperimentazione quotidiana, umiltà e un approccio al lavoro quasi maniacale... Tutto questo senza dimenticare il piacere di fotografare, con allegria e con passione. Da anni l’agenzia LaPresse, con la quale abbiamo un rapporto di esclusiva, ci ha affidato l’incarico di seguire le partite casalinghe delle principali squadre italiane di calcio e basket, oltre ai fatti di cronaca. I Mondiali sono il frutto di questi anni di lavoro e di sacrifici».
 
Che, immaginiamo, hanno anche un bel costo...
«Le nostre compagne Fiorenza e Laura lo sanno bene, ma è anche grazie al loro supporto dietro le quinte che abbiamo potuto raggiungere questi obiettivi».
 
Come si vive quest’avventura?
«Ti senti parte di un meccanismo enorme, milionario e privilegiato. Poi, finite le partite, esci in strada, in mezzo alla gente, e vedi i ragazzi della favela che a Copacabana fanno a loro modo la raccolta differenziata di lattine consumate dai turisti. Vedi un bambino che prova a far volare un aquilone costruito con i ritagli di giornali. E capisci che forse non stai proprio dalla parte giusta».
 
In Brasile che idea c’è degli italiani?
«È infarcita di stereotipi. Molti sogghignano quando dici loro di essere italiano. Ti dicono però subito di amare molto il nostro cibo e il nostro calcio. Ti guardano spesso con gli occhi di un povero che guarda un ricco. Un ragazzino, un giorno, mi ha chiesto quando costava una lattina di Coca Cola in Italia...».
 
A proposito: l’Italia e i suoi bresciani?
«Non li ho mai visti. Il mio incarico è di seguire le altre partite, in modo particolare quelle di Brasile e Argentina».
 
Il tuo scatto più bello di questo Mondiale?
«È un po’ come per un musicista dover scegliere la propria canzone preferita...
 
Cosa ti ha colpito di più? Qualcosa che con la tv e i mezzi di comunicazione non arriva?
«I tifosi sudamericani sono incredibili. I cileni in particolare. Viaggiano per migliaia di chilometri alla guida di furgoni scassati. Alcuni dormono in spiaggia, cucinano sui marciapiedi in mezzo alla gente. Per loro è una festa vera, è allegria e voglia di stare insieme. Un approccio molto diverso rispetto a quello di noi europei».
 
E tu, europeo in mezzo a tutti quei colori...
«Quando sono entrato in campo alla partita inaugurale ho pensato a mia madre che è morta molti anni fa, poco tempo prima che io e Davide cominciassimo a fare questo lavoro da professionisti. Poi ho pensato a Fiorenza, la mia compagna, a mio padre e a Davide, che avrei voluto vedere dall’altra parte del campo. E ho pianto. Credo che qualcuno mi abbia anche visto».
 
Daniele Ardenghi
 

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