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La seconda Vuelta di Primoz Roglic, l'uomo che perse il Tour

Il campione sloveno dalla polvere di La Planche des Belles Filles alle stelle di Madrid
Primoz Roglic brinda alla sua seconda vittoria consecutiva alla Vuelta - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Primoz Roglic brinda alla sua seconda vittoria consecutiva alla Vuelta - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
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Ci sono due immagini su tutte di Primoz Roglic, sufficienti a raccontare buona parte di questo scombussolato 2020 ciclistico, nella prospettiva del capitano della Jumbo-Visma. 

C’è quella di un vincitore in lacrime, perché vincitore non è più. C’è una maglia gialla sfibrata da 36 km di tormento, quasi un sudario in cui sono avvolte le spoglie ciclistiche dello sloveno che ha dominato il Tour de France ma che a La Planche des Belles Filles ha perso tutto. Per mano, beffa delle beffe, di un connazionale di 21 anni appena, Tadej Pogacar.

Seduto a terra, schiantato dalla fatica, circondato da compagni pietosi quanto increduli, roso dalla sconfitta che pare impossibile, assetato come possono esserlo solo i vincitori, o peggio, i secondi. Che non è male esserlo, secondi, specie al Tour de France, eppure non è nulla, se la vittoria era tua, come era di Roglic, ed è sfumata proprio quando pareva cosa fatta. Gli Champs-Élysées, sono per lui una passerella amara. Hanno la tristezza di certe spiagge quando si svuotano dei turisti, e sulla sabbia restano impronte e qualche ombrellone maltrattato dal vento. 

La seconda immagine è fresca. Carica di rosso flamenco. C'è una «muleta» da torero che si fa maglia, la roja, e trasforma in matador della Vuelta 2020 quello stesso sloveno. Roglic solleva al cielo una bicicletta Bianchi: il trono di Spagna è di nuovo suo - ciclisticamente parlando, si intende -, il re (bis) di Madrid è lui come già nel 2019, per un giorno che dura un altro anno. E chissà se, sfilando a Plaza de Cibeles, Primoz el Campeòn avrà rivisto per un istante, come in un film drammatico e strappalacrime, quel lacerante 20 settembre di Parigi. Se avrà pensato a quanto è assurda e meravigliosa la vita di un campione, un saliscendi da tappone per scalatori, in grado però di darti un'altra occasione se sai prendertela con le unghie e coi denti, di offrirti sempre una seconda... vuelta, verrebbe da dire. Se solo non fosse un gioco di parole di infimo ordine. Che ahinoi, ormai ci è scappato.

A proposito di montagna. L'altroieri, al termine di una frazione durissima, al traguardo dell’Alto de la Covatilla, quando era ormai consacrata la sua vittoria spagnola (e la beffa bis scongiurata con un margine di soli 24”...), Roglic ha tagliato corto con i cronisti che lo incalzavano: «È stata una stagione fantastica. Non c’è altro da aggiungere». Ma forse qualcosa da aggiungere c’è, per quel 31enne che ha rifatto suo il giro iberico (mettendo in guardaroba anche la maglia verde che spetta al leader della classifica generale) nello stesso anno in cui, croce e delizia, ha indossato la maglia gialla per 11 giorni, ma non nell'unico in cui il dress code del trionfatore la imponeva. C’è da aggiungere che a volte la paura di vincere tira brutti scherzi, che l’avere il fiato sul collo di un ragazzo prodigio di dieci anni più giovane di te fa anche peggio. E che la tenacia del campione non è una cosa che si trova per strada. Salvo che la strada non sia quella che in meno di due mesi conduce dalla polvere di La Planche des Belles Filles alle stelle di Madrid.

Per inciso: Primoz Roglic ha vinto la Vuelta a Espana 2020 davanti a Richard Carapaz (Ineos Grenadier, elegante il suo tweet di congratulazioni allo sloveno) e Hugh Carthy (EF ProCycling). In un’edizione che non dice benissimo agli italiani (il solo arrivato in fondo, Mattia Cattaneo della Deceuninck Quick Step, si è piazzato 17esimo in classifica a 17’ da Roglic: speriamo non sia superstizioso…), brilla il bresciano Jakub Mareczko (CCC) che, ritiratosi all’11esima tappa, ha fatto però in tempo a conquistare un podio. Terzo a Ejea de los Caballeros, alla conclusione della quarta frazione, è arrivato quel giorno in volata proprio davanti al tedesco Pascal Ackermann (Bora-Hansgrohe), ieri primo a Madrid nella 18esima e ultima tappa.

Ah, due ultime considerazioni in fatto di bandiere. Una riguarda la condizione straordinaria del ciclismo sloveno, e allargando lo sguardo di tutto lo sport del Paese dell'ex Jugoslavia: dei tre grandi giri del 2020, per limitarci a questi, due sono stati vinti da sloveni, come visto. Pogacar ha trionfato in Francia, ora Roglic, già secondo a Parigi (e dominatore di una classicissima come la Liegi-Bastogne-Liegi), è salito sul gradino più alto del podio madrilegno. Il perché una nazione di poco più di 2 milioni di abitanti stia incassando tanti successi ha provato a spiegarlo qualche tempo fa in un interessante articolo il Post: un esempio di politiche per lo sport al quale forse anche noi potremmo dare un'occhiata, tanto più che siamo vicini di casa in questa vecchia Europa. L'altro tema è il fatto che, quando si tratta di fare buone bici, l'Italia sa distinguersi e mette in archivio un anno d'oro: giusto per limitarci a Tour, Giro e Vuelta, nel primo Colnago ha tinto di giallo il suo orgoglio, nel secondo Pinarello ha portato alla cavalcata vittoriosa Tao Geoghegan Hart e nella terza è toccato alla Bianchi essere levata al cielo per mano di Roglic. E sì, anche ai Mondiali di Imola e al Giro la bici di Ganna era italicissima. Ma Top Ganna fa storia a sé.

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