Inzaghi come Mancini, un «tutti per tutti» in stile Italia

Una Nazionale e un allenatore campioni d’Europa in carica non possono non fare tendenza. Ma se a capo dell’Italia Roberto Mancini è arrivato a trovare un impianto vincente passando per la strada del bisogno di dover fare necessità virtù dopo aver raccolto la Nazionale dalle sue miserie post mancata qualificazione al Mondiale e anche per il bisogno di ovviare alla presenza di un determinato tipo di attaccante, per tutti gli altri il pensiero di ricalcare il meglio del percorso netto degli azzurri è una libera scelta in libera fonte d’ispirazione. Pippo Inzaghi è tra coloro che sono rimasti folgorati dalla mentalità inculcata dal Mancio ai suoi e dallo straordinario ruolo da protagonista che è stato assegnato al gruppo.
Nessun fenomeno, tutti fenomeni. Tutti fenomeni, nessun fenomeno. A seconda dei momenti, delle partite, a delle attitudini: escluso o penalizzato, non si è sentito mai nessuno. Chi conosce mister Pippo, chi ne ha seguito il percorso, sostiene che qui a Brescia Inzaghi stia cercando di andare oltre se stesso e fare uno step ulteriore tra quanto imparato dagli errori certamente commessi a Benevento e la sferzata di entusiasmo ricevuta dall’euroimpresa dell’Italia. Che ha un sistema di gioco «tutti per tutti»: ognuno gioca prima per gli altri che per se stesso e mentre lo fa dunque riceve a sua volta in cambio qualcosa dai compagni per potersi esaltare in proprio. Ognuno ha il proprio pezzettino di responsabilità e il suo spazio nel quale inserirsi per cercare gloria. E tutti sono trattati allo stesso modo: chi è titolare oggi può essere riserva domani.
E non a caso Inzaghi lo ha ricordato anche nel dopopartita col Cosenza: «Tutti stanno facendo del loro meglio per mettermi in difficoltà, chi ha il posto ora se lo deve tenere ben stretto». Un Brescia così, stipato di talento dei singoli che però cercano di sviluppare un’anima collettiva ha già sdoganato i sogni più mostruosamente proibiti e spinto il generale Cellino a lanciare il guanto alle big designate: «Vogliamo la serie A».
Il due su due in campionato e le modalità con qui l’en plein è stato conseguito autorizzano ai sogni più mostruosamente proibiti, anche se mantenere i piedi per terra è cosa buona, giusta e obbligatoria: serve equilibrio per quanto sia fantastico camminare sopra la follia. Una - ahinoi - infinita esperienza di serie B ci insegna che non è mai finita fino a che non è finita: figuriamoci allora se possiamo permetterci di «sbracare» dopo sole due giornate... Il tempo delle prove del nove, arriverà e nel frattempo lavoro da fare ancora ce n’é: un gioco così ambizioso e spregiudicato necessita di accorgimenti extra per una difesa (e una fase difensiva in genere) che ancora si deve tarare sulla misura della propria ammaliante quanto rischiosa spregiudicatezza.
Tornando al tema base a ogni modo, un Brescia «tutti per tutti» deve esserlo poi non solo sul campo, ma anche fuori. E qui torniamo al parallelo con la «Mancitalia» che è stata capace di creare una simbiosi con gli italiani: così deve essere per il Brescia con i suoi tifosi, fiaccati da anni difficili e da una divisione tra celliniani e anti-celliniani. Un Brescia «tutti per tutti» poi, non può ammettere «dualismi» Cellino-Inzaghi. Ovvero non si può parlare del «Brescia di Cellino» - che dimostra di avere ancora il tocco dopo due anni di dubbi anche suoi - o del «Brescia di Inzaghi» - che dimostra di avere conoscenze e fame non limits. C’è solo il Brescia: «tutti per tutti» e tutti per la Leonessa.
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