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I complimenti a Nadia da Deborah Compagnoni

Intervista alla campionessa di S. Caterina Valfurva che dopo gli infortuni ha centrato i maggiori successi.
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Chissà, forse domenica anche a lei è scesa una lacrima. Forse nella stoica Nadia Fanchini ha rivisto se stessa quando, ancor più giovane della bresciana, ha dovuto piegarsi agli infortuni prima di tornare. Prima di (ri)vincere alle Olimpiadi ed ai Mondiali poi. Prima di rispondere alla sfortuna nell'unico modo che conosceva: facendo scorrere gli sci con quella delicatezza che nessuno aveva negli anni Novanta.

Deborah Compagnoni può davvero capire, per esperienza personale, quello che Nadia ha provato domenica. Sa cosa vuol dire ritornare da sola, quando tutto sembra difficile. Sa cosa vuol dire salire sul podio dopo mesi di palestra, piscina, fisioterapia ed intere giornate passate in solitaria aspettando il momento in cui riassaporerai il profumo della neve. «Sì, quando domenica ero nel parterre a Schladming e ho visto quello che ha fatto Nadia, mi è subito tornata in mente la mia esperienza», parola della «Debby» nazionale.

La storia dell'ex sciatrice di Santa Caterina Valfurva ha molti punti in comune con quella della sciatrice (tutt'altro che «ex»: il pianto e i dubbi di martedì sono stati cancellati) di Montecampione. Nel 1988, a soli diciott'anni, Deborah si rompe una prima volta il crociato. Torna in Coppa, va sul podio, alle Olimpiadi di Albertville '92 coglie l'oro in superG, ma pochi giorni dopo, in gigante, il ginocchio fa nuovamente crac. Altra operazione, un calvario durato un anno, le difficoltà e poi la sua classe cristallina che riemerge: oro in gigante a Lillehammer '94, bis ai Mondiali di Sierra Nevada '96, accoppiata slalom-gigante ai campionati iridati del Sestriere '97, oro tra le porte larghe ed argento tra i pali stretti a Nagano '98.

Ma quell'anno in convalescenza non si scorda: «Capisco la felicità di Nadia, capisco ciò che sente perché anch'io mi sono trovata nella sua condizione. Quando sei fuori è difficile far capire alla gente come stai, cosa ti passa per la testa, come ti senti. Un anno passa veloce per gli altri, ma per te che sei infortunata non finisce mai. I giorni sono più lunghi. È difficile tener vivo l'entusiasmo, spesso capisci che chi hai vicino ti dice "tranquilla, tornerai", ma in realtà ci crede poco. Le pacche sulle spalle fanno bene, ma una medaglia come quella che ha conquistato Nadia è la miglior medicina per un'atleta al rientro».

Come si può passare dalle lacrime alla gioia? «Credo che quello di martedì scorso sia stato uno sfogo, dettato dalla delusione e anche dal dolore fisico. Nadia convive perennemente con un ginocchio fragile e che le provoca parecchi fastidi. Quando le cose non girano, quando avverti dolore, non riesci a farti una ragione di quello che accade. E poi lei ha una storia tutta particolare alle spalle, ha due sorelle, soprattutto Elena, che sono state sfortunate come lei. Ha avuto poche occasioni per mostrare continuità di risultati. Ma nei pochi momenti che è stata bene ha fatto vedere tutto il suo valore».

Da campionessa d'un tempo a campionessa ritrovata, il giudizio della Compagnoni sulla gara di domenica: «È stata coraggiosa ed ha visto ripagata la sua costanza, la sua insistenza, la sua forza di volontà. Ha sciato bene, ha fatto un gran tempo e l'argento è più che meritato. Ora potrà farsi valere anche nel gigante, è un momento particolare per lo sci femminile: manca la Vonn e, a parte la Maze, non c'è un fenomeno perché è in atto un ricambio generazionale che coinvolge squadre come quella svizzera e quella austriaca, ora meno forti di un tempo. Per Nadia può aprirsi una nuova fase felice».
Parola di Deborah Compagnoni.
Fabio Tonesi

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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