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«Ho visto la barca allontanarsi, poi qualcuno ha guardato giù»

Il racconto del velista Paolo Martinoni, che il 5 gennaio del 1982 cadde in acqua nel Pacifico durante una traversata
Paolo Martinoni in una foto d'archivio
Paolo Martinoni in una foto d'archivio
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I velisti estremi che stanno partecipando al Vendée Globe - giro del mondo a vela in solitario senza scalo - sono in questi giorni tra Auckland e Capo Horn, più o meno dove 39 anni fa, il 5 gennaio 1982, il velista bresciano Paolo Martinoni cadde in acqua quando ormai era buio, rimanendo nel gelido mare del Pacifico del Sud alcuni minuti prima di agguantare la ciambella salvagente lanciatagli per la seconda volta dai compagni di equipaggio ed esser riportato in barca.

Abbiamo contattato Paolo Martinoni, studi all'Arici, l'università a Milano e oggi settantunenne manager della comunicazione con cui ha seguito tre campagne di Coppa America di Luna Rossa, chiedendogli di ripercorrere quei terribili attimi, ciò che li precedette e quanto ne era seguito. Una storia di mare che nessun naufrago mai prima aveva potuto raccontare.

Com'è andata?
«Ero a bordo di Rolly Go di Giorgio Falck, che non era con noi, e stavamo navigando da Auckland verso Mar del Plata in Argentina, terza tappa della Whitbread. Al timone Pierre Sicouri, mare molto formato, la barca navigava a 10 nodi con vento in poppa. Posizione non ricordo se a 52° o 54° di latitudine sud: stavo legando la sacca che conteneva lo spinnaker alla battagliola quando il genoa muta improvvisamente e violentemente mura e mi butta fuori bordo. Nel cadere mi attacco alla battagliola, la mano scivola verso poppa fino al primo candeliere dove devo mollare tutto e cado in mare picchiando il viso contro lo scafo».

L'equipaggio lancia immediatamente l'allarme, il momento è concitato e fortunatamente coincide con il cambio di turno dell'equipaggio. Poi?
«Poi ho visto la barca allontanarsi ed allora mi sono reso conto di ciò che stava succedendo - racconta il velista bresciano - subito intuendo che avrei dovuto metter in atto quanto mi avevano insegnato. Mi sono tolto gli stivali, ho cercato di pormi nella posizione del morto per non produrre calore che sarebbe stato rapidamente disperso dal corpo accelerando l'ipotermia che a quelle temperature giunge in pochi minuti».

In barca riprende il timone Pierre Sicouri (tre giri del mondo, venti traversate atlantiche e due Ostar) che inverte di 180 gradi la rotta e inizia le manovre di ricerca e recupero dopo esser passato una prima volta praticamente sopra al naufrago, ma senza vederlo, riuscendo tuttavia pochi attimi più tardi a riavvicinarsi.
«Quando riesco ad afferrare la cima della ciambella che mi era stata lanciata me la arrotolo attorno al polso per evitare - ricorda il velista bresciano - che le mani cedano la presa per il gelo e vengo recuperato e tirato in barca da quattro compagni. Spogliato e poi frizionato mi riprendo e dopo un tè bollente, salto un turno di navigazione e riprendo il mio posto».

Paolo Martinoni (svariate traversate atlantiche, una rotta del Rhum) aggiunge: «Se ho potuto raccontare questa storia è perché qualcuno ha guardato giù ed allora vorrei ricordare un dettaglio: in barca con noi c'era Giovanni Verbini, storico marinaio di Giorgio Falck che mi ha poi rivelato come durante le operazioni di recupero mai avesse lasciato la sua cuccetta continuando a pregare San Silverio, patrono di Ponza da dove proveniva. A Jepson(era il suo soprannome) feci promessa formale che il 20 giugno successivo sarei andato a ringraziare il santo sull'isola, cosa che puntualmente feci quell'anno anche se per una bonaccia arrivai solo il giorno successivo, mantenendo però la promessa».

 

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