Cisolla: «Un trauma lasciare il volley, ma è il momento di cambiare vita»

Vederlo dietro al bancone del bar impegnato con la macchina del caffè e non di rincorsa per schiacciare e fare «buchi» nel campo avversario impressiona. Eppure la nuova vita salodiana di Alberto Cisolla, campione assoluto di volley, è questa. Ed è così che la racconta.
Tra meno di una settimana inizia la A2, dopo 25 anni da professionista per la prima volta non sarà sotto rete. Come si sente?
«Io ne conto di più, perché parto dalle giovanili ovvero dal ’92... Adesso mi sento bene anche se è tutto strano, infatti il mio corpo mi chiede di fare un sacco di sport. Di sicuro mi mancheranno le emozioni del campo. Con tutto il rispetto per gli anni fantastici a Brescia, ma decidere di scendere di categoria dopo tante stagioni al top mi sta aiutando a vivere il momento. Poi resta un trauma, sportivamente parlando, perché non sentirò più l’adrenalina di giocare i punti decisivi o quella dello spogliatoio».
C’è un attimo in cui ha detto «è il momento di smettere»?
«Quando abbiamo preso la decisione in famiglia che questa sarebbe stata l’ultima stagione dei miei suoceri al ristorante per subentrare poi io e mia moglie. Ed è sempre stato l’obiettivo finale da quando sono qui».
La maglia numero 15 però l’Atlantide non l’ha assegnata e il tecnico Zambonardi non ha chiuso la porta al suo ritorno...
«A dire la verità avevamo ragionato sulla possibilità di giocare mezzo campionato, all’andata, per poi dedicarmi alla mia nuova vita. Ma non mi sembrava giusto nei confronti dei miei compagni, degli sponsor, della gente che viene al palazzetto. Non riuscirei a garantire la mia professionalità, non basta mettersi la maglia con scritto Cisolla, allacciarsi le scarpe e andare in campo. Rischi di fare brutta figura. È un attimo passare dal Cisolla eroe a 44 anni ancora in campo al Cisolla patetico che vuole sempre giocare...».
Ma lei come arriva alla pallavolo?
«Grazie al beach volley giocato da ragazzo con mio fratello Andrea a Lignano Sabbiadoro. Nell’89 prende forma il settore giovanile di Treviso, la Ghirada era centro sportivo in cui giravano campioni come Kukoc, Bernardi, Gardini, i migliori del rugby, la squadra di formula 1. Il top. Inizia Andrea, poi faccio un corso di volley e mi innamoro subito».

Una vita a Treviso costellata di successi prima giovanili, poi nazionali e internazionali. C’è una vittoria che l’è rimasta nel cuore?
«Forse lo scudetto più bello è quello del 2003. Ci fu un ricambio generazionale: io presi il posto di Bernardi, Vermiglio quello di Vullo e così via. Sostituire quei mostri sacri a Treviso era un peso, ma arrivòil tricolore con quei ragazzi con cui ero cresciuto nel settore giovanile. La gioia fu ancora più grande. Da lì il ciclo di 4 scudetti in cinque anni e la Coppa Campioni».
C’è un compagno «speciale» più di altri?
«Caratterialmente sto bene con tutti, poi ci sono rapporti speciali. Papi è stato mio testimone di nozze, Boninfante il mio migliore amico con cui ho condiviso tante fatiche in campo e, adesso lo posso dire, tantissime dopo la mezzanotte. A loro due e a Fei, ho presentato le mogli. Con Stanislav Dineikin mi sento quotidianamente, a Matej Cernic credo di aver salvato la vita almeno due-tre volte in serate "importanti" in giro per il mondo».
L’avversario più forte?
«Nei miei anni in Nazionale il Brasile ci ha massacrato in tutte le finali. Dico Giba, Gustavo, Ricardinho, con i quali c’era rivalità ma anche rispetto. Per fare un paragone d’attualità Federer-Nadal».
L’allenatore a cui è più legato?
«Kim Ho-Chul perché mi volle fortemente in prima squadra andando contro le scelte societarie. Nel settore giovanile in rampa di lancio c’eravamo io, di Treviso, e un ragazzo che era stato acquistato, Alessandro Campanari. Dopo la preparazione estiva Kim disse alla società: "Non mi interessa cosa pensate, io voglio Ciso". E grazie a lui sono arrivato in serie A. Poi c’è Raul Lozano che non ebbe dubbi su chi far giocare tra me e Fomin dopo che avevo preso il posto di Dimitri, infortunato. Quando tornò a disposizione scelse me. Ero già in Nazionale, ma anche la sua riserva».
Il sestetto ideale, con lei in campo?
«Papi e Tencati schiacciatori, Fei opposto, Vermiglio pallegiatore, Farina libero. Perchè con loro ho vinto il titolo di miglior giocatore in due finali scudetto, lo stesso nell’Europeo e il "pallone d’oro" Cev nel 2006».
Veniamo a Brescia: l’approdo qui nasce dall’incontro con Fanny, sua moglie, nel 2002 a Milano Marittima.
«Indubbiamente sì, anche perché nel 2010 abbiamo comprato casa con idea di stabilizzarci, anche per il fatto del ristorante dei suoi genitori a Salò (Caprice Uno, quello che adesso vedrà Cisolla impegnato in prima persona, ndr). Di fatto, approdato a Brescia, Zambonardi mi contattò subito per l’Atlantide e partì il progetto pallavolo da una parte, ristorazione dall’altra».
Come si trova in questa nuova veste?
«Parto coi piedi di piombo per rispetto a chi da sempre fa questo lavoro. Sono appassionato di vino da anni, quando giravo il mondo mi piaceva assaggiare i piatti locali. Per me sarà un bel salto, forse più faticoso rispetto al volley».
La riconoscono al ristorante?
«Gli italiani sì, specialmente per la maglia all’interno. Qualcuno viene anche apposta, anche se non ho mai voluto pubblicizzare la cosa perché non sono un ristoratore. Io sono Cisolla esperto di pallavolo, che si è buttato in una nuova esperienza. Magari tra 40 anni mi vedranno come ristoratore».
E la sua «vita» da commentatore tv?
«Nata per caso con le Olimpiadi del 2012 a Londra, ho scoperto quanto ci si debba preparare per essere all’altezza. Un ruolo che mi piace, vorrei proseguire».
Ora è Ambassador dell’Atlantide.
«È un modo per restare nella pallavolo e proseguire un progetto iniziato 7 anni fa con Brescia di cui ho parlato con Zambonardi e Tiberti. Si citano spesso crescita, movimento, settore giovanile: noi ci crediamo davvero e vogliamo svilupparli. Anche perché il livello della A2 si è alzato molto».
Si vede come dirigente o allenatore in futuro?
«Sinceramente no, perché da sette-otto anni ragiono in maniera diversa per la mia vita. Mi stimolano di più altre cose, indipendentemente dal ristorante. Mi sarebbe piaciuto fare il procuratore o lo scopritore di talenti».
Il locale va riempiendosi: da zero a dieci quante possibilità ci sono di rivederla in campo?
«Adesso zero, a 3/4 ci arrivo col ristorante chiuso in inverno e il campionato in corso. Ma verso marzo torno a zero...».
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