Ciclismo

Giuseppe Martinelli scende dall’ammiraglia: addio al ciclismo

Il tecnico bresciano ha vinto nove Giri d’Italia, due Tour de France e una Vuelta: è considerato il Carlo Ancelotti delle biciclette e si è raccontato in visita alla redazione del GdB
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Martinelli: "Ho deciso durante il Giro"
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Giuseppe Martinelli dopo oltre 50 anni di onorata carriera, 16 da corridore e 38 da direttore sportivo, ha deciso di chiudere con il circuito professionistico e lo ha capito in un momento ben preciso: «Il giorno di risposo a Caserta, al Giro d’Italia di quest’anno, sono andato da Dino e gli ho detto “io non ce la faccio più, dall’anno prossimo sto a casa”». Così ha deciso di scendere dall’ammiraglia per l’ultima volta il tecnico più vincente della storia del ciclismo italiano e una leggenda del ciclismo mondiale.

La decisione

Il tecnico bresciano Beppe Martinelli in visita al GdB - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il tecnico bresciano Beppe Martinelli in visita al GdB - Foto © www.giornaledibrescia.it

«È stata una decisione maturata dopo le prime 6/7 tappe del Giro: nessuno capiva veramente le difficoltà che avevo – ha spiegato lo stesso Martinelli –. Ho meditato anche un po' in questi mesi, ho avuto il tempo per mediare e per provare a trovare una soluzione anche con me stesso, ma non ho più cambiato idea. Ho voglia di stare a casa, di cambiare vita, andrò ancora a vedere le gare dei giovani, magari anche del professionismo, però il ruolo di direttore sportivo non mi compete più».

Oltre mezzo secolo vissuto sulle due ruote, osservando anche i cambiamenti profondi del ciclismo: «È totalmente cambiato, addirittura al 110% direi: se vado indietro con la memoria, agli anni ’80 e ’90, sembra che sia davvero l’epoca di Coppi e Bartali». 

Il Carlo Ancelotti del ciclismo

Il tecnico bresciano, vincitore di nove corse rosa, due Tour de France e una Vuelta, è considerato nell’ambiente il Carlo Ancelotti del ciclismo: «Sulla mia strada ho avuto parecchia fortuna – ha voluto subito ammettere, come solo i grandi sanno fare –, sono arrivato spesso nel momento giusto al posto giusto».

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Giuseppe Martinelli parla del suo rapporto con Marco Pantani

La lista dei corridori passati dalle sapienti mani di Martinelli è quasi infinita, ma il primo pensiero è per l’indimenticabile, e mai abbastanza compianto, Marco Pantani: «La mia storia parte un po’ da lui e ho avuto la fortuna, assieme a Davide Boifava, di scoprirlo e di portarlo nella nostra squadra (Carrera). Dal 1983 al 2001 non c’è stata una singola gara in cui io non fossi con lui – gli occhi di Giuseppe diventano subito lucidi nonostante sia una storia che ha già raccontato innumerevoli volte –. Mi ha portato all’apice della mia carriera, ma mi ha fatto anche vivere dei momenti davvero difficili. In ogni caso non voglio rimpiangere il giorno in cui l’ho incontrato e considero un privilegio esser stato il suo direttore sportivo di riferimento».

È difficile anche per Martinelli parlare del folle e drammatico epilogo del Pirata: «La verità non è ancora emersa e non so neanche da che parte andarla a pigliare. Fosse successo adesso penso che saremmo riusciti a salvarlo, ma all’epoca degli anni bui del ciclismo, che vorrei cancellare anch’io, gli crollò il mondo addosso e non ci fu molto da fare».

Gli aneddoti

Tanti gli aneddoti che il tecnico bresciano ha regalato in visita alla nostra redazione partendo dagli inizi con Ragnoli, passando per la gestione del dualismo tra Simoni e Cunego, è arrivato anche alla più grande delusione della carriera: «Pulnikov: sono andato a prenderlo assieme a Davide Boifava, lui correva per una squadra di San Marino e io ero sicuro che ci avrebbe vinto almeno un Giro o un Tour. Era nato corridore: forte in salita, veloce, si difendeva anche nelle crono». Ma anche i più grandi ogni tanto sbagliano: «Ha vinto qualcosa qua e là, ma non è mai diventato il ciclista che pensavo».

Restano però un paio di sogni nel cassetto per il leggendario tecnico bresciano che vorrebbe poter fare qualcosa per il ciclismo italiano prima di godersi la meritata pensione: «Prima di tutto mi piacerebbe costruire una squadra italiana, piccola o grande che sia, ma con tecnici italiani, preparatori italiani e anche il manager italiano – a questo proposito Martinelli ha voluto anche lanciare un appello alle aziende bresciane – con un progetto ben costruito possiamo dare una mano a salvare il ciclismo italiano. Tutti i talenti ora vanno all’estero, ma basta un buon investimento per cambiare rotta e qui a Brescia c’è chi lo può fare in un batter d’occhio. Ci sarebbe anche un ritorno d’immagine incredibile».

L’ultima suggestione riguarda chiaramente la guida della nazionale: «Mi è già stato proposto due volte, 12 anni fa e 8 anni fa, ma all’epoca avevo una contratto importante e una squadra altrettanto importante da seguire. Se ora dovesse esserci bisogno, io sono a disposizione».   

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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