Bianchi, l'allenatore bresciano dello scudetto del Napoli: «Non hanno mai sbagliato»

Napoli impazzita è ai piedi di Luciano Spalletti, ma il primo allenatore a renderla felice fu il bresciano Ottavio Bianchi che nel 1986-87 condusse la squadra a quello scudetto mai vinto prima. Aiutato, certo, dal fuoriclasse Maradona attorno al quale riuscì però a costruire una squadra equilibrata in ogni settore, dal cammino regolare e che perse solo 3 volte.
In porta c’era Garella, in difesa spiccava il talento dell’appena ventenne Ciro Ferrara, Bagni e De Napoli i mastini di centrocampo e avanti il trio delle meraviglie che comprendeva, oltre al fuoriclasse argentino, anche Giordano e Carnevale. Nacque così, dalle iniziali dei tre attaccanti, l’acronimo Magica. La svolta ci fu con l’arrivo a campionato in corso del regista Romano e con la vittoria sul campo della Juventus (3-1) che ispirò poi libri e testi teatrali e sconfisse un’atavica mentalità perdente.
Bianchi – che a ottobre compirà 80 anni - oltre che per le doti professionali fu fondamentale per la gestione della squadra, tenuta lontana dalle tempeste di un ambiente facile a esaltarsi dopo una vittoria e a deprimersi dopo una sconfitta. «Mi aiutò l’esperienza da calciatore – ricorda oggi – negli anni Sessanta avevo giocato nel Napoli e più volte eravamo andati vicini all’obiettivo, sfumato poi per l’incostanza di rendimento». Onesto e coerente nelle scelte, finì col fare la parte del musone – come qualcuno lo definì – pur di far rispettare le regole ferree dello spogliatoio, a costo di scontrarsi con lo stesso Maradona, col quale poi maturò un rapporto di stima reciproca.
«Paragoni col campionato attuale? Impossibili. Allora non disponevamo di rose abbondanti né c’erano cinque sostituzioni. Un successo valeva solo due punti e la classifica era cortissima. Questo Napoli però mi piace tanto, non ha sbagliato nulla già in estate quando pochi pensavano potesse competere per un posto in Champions. Mica facile che al primo anno uno straniero vada così bene nel campionato italiano, invece Kim e Kvaratskhelia sono stati subito determinanti. Ma è il collettivo a fare la differenza, in ogni partita fai fatica a distinguere chi sia stato il migliore o il peggiore perché il livello medio della prestazione è altissimo».
Ieri & oggi
Anche il Napoli del 1987 poteva contare su un gruppo formidabile. «Molto aiutò a costruirlo lo stesso Diego, generoso con i compagni dentro e fuori dal campo». Quell’anno in A c’era anche il Brescia che affrontò gli azzurri in casa alla prima giornata e dovette arrendersi a una magia proprio di Maradona. Nel ritorno le rondinelle diedero battaglia, raggiunsero l’1-1 e poi si arresero a un rigore non limpidissimo. Nel dopo partita Bianchi dopo aver gelato con poche battute i giornalisti locali, fu invece molto disponibile e cordiale con gli inviati ospiti, dimostrando la signorilità di sempre. Disse anche di aver visto un buon Brescia e si disse ottimista sulle possibilità di salvezza della squadra. Invece all’ultima giornata fu fatale la sconfitta contro la Juventus, col 3-2 segnato dal bresciano Ivano Bonetti e le rondinelle tornarono in B.
Quella domenica non fu facile nemmeno per Bianchi: il Napoli aveva vinto il titolo la giornata precedente con l’1-1 in casa con la Fiorentina ed era impegnato ad Ascoli. Ma solo sulla carta. Perché la squadra finì con l’accontentarsi del pareggio, risultato graditissimo anche ai marchigiani, che poi si salvarono. Furibondo per l’atteggiamento dei suoi, Bianchi lasciò la panchina durante il match e nello spogliatoio fu accolto da uno sgradevole coro dei giocatori («Te ne vai o no?»). Invece restò altri due anni e concluse il suo ciclo con la conquista della coppa Uefa nel 1989. «Tuttora incontro tifosi partenopei che mi sono ancora grati. Mi è capitato di recente proprio a Brescia, all’uscita da un ristorante. Sono gesti che danno senso a un’ intera carriera». Perché quando vinci a Napoli, è per sempre.
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