Basket

Scariolo, 60 anni da re del basket: «La vittoria è la famiglia»

Il legame con Brescia? «Unico e impareggiabile». Pau Gasol «è il giocatore più forte che ho allenato»
L'allenatore Scariolo in occasione di una visita alla madre a Brescia - © www.giornaledibrescia.it
L'allenatore Scariolo in occasione di una visita alla madre a Brescia - © www.giornaledibrescia.it
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Primo aprile 1961, primo aprile 2021. Tanti auguri a Sergio Scariolo, orgoglio bresciano della pallacanestro, proprio oggi sessantenne. Attualmente ct della Nazionale spagnola e assistente in Nba nei Toronto Raptors, si è raccontato a tutto tondo.

Dal concetto di «casa» agli sviluppi tecnici della pallacanestro su scala globale. Con un pensiero fisso in testa: «Voglio che la mia carriera sia più lunga possibile». C’è ancora tanto da vivere, dunque. Tanto da vincere, e molto da raccontare.

Qual è il primo ricordo della sua città, e il primo ricordo a Brescia con una palla a spicchi in mano?
«La mia prima casa era in vicolo della Stazione. Poi, quando avevo 5 anni, la mia famiglia si spostò in piazzale Cesare Battisti. Proprio lì ricordo il tabellone che mio padre attaccò al muro del cortile. Noi ragazzi del palazzo giocavamo interminabili partite».

Qual è la prima sensazione che la fa sentire a casa, quando torna a Brescia?
«Il legame è ancora fortissimo. Ci sono mia madre e mia sorella, e i miei amici più cari, con cui sono in contatto quotidiano».

A proposito di «casa». Qual è il posto che, oggi, lei definisce la sua «home»?
«Brescia e Marbella, il luogo in cui ho scelto di risiedere con la famiglia. Ma camminare per Brescia e rivedere i luoghi della mia infanzia dà emozioni che non provo in alcuna altra parte del mondo».

Tra i trofei alzati da allenatore di un club e quelli con la Nazionale spagnola che differenze ci sono?
«I trofei con la Nazionale hanno qualcosa di diverso, soprattutto nel "pre" e nel "post". Prima ti rendi conto dell’aspettativa di un intero Paese. Poi, io ho vissuto una serie di post con titoli e medaglie. E quindi con festeggiamenti che vanno al di là di una città o di un club. Un immenso bacino di affetto, ma anche di pressione».

Lo scorso autunno ha visto dal vivo la Germani giocare in Eurocup contro l’Unicaja Malaga. Che impressione le ha fatto? Ha provato qualche emozione particolare?
«Non potevo perdermi quel match. Sono le mie due squadre. Brescia e Malaga sono parti del mio cuore. Ho vissuto un... conflitto di emozioni».

Le piacerebbe, in un lontano futuro, chiudere la sua carriera all’ombra del Cidneo?
«Adesso è una proiezione troppo azzardata. Non dico che non mi piacerebbe. Ma è presto per parlare di fine carriera. Voglio lavorare ancora molto».

Si è mai immaginato che vita avrebbe potuto fare, se non fosse stata dedicata alla pallacanestro?
«Avrei rilevato lo studio legale di mio cugino. Lì ho anche lavorato, mentre studiavo Giurisprudenza. Ma dopo la laurea ho preso il titolo, l’ho attaccato al muro e via. Non me ne sono mai più occupato...».

Quanto è distante l’Europa nella sua massima espressione, ossia l’Eurolega, dall’Nba? Il gap resterà sempre incolmabile?
«La distanza economica e organizzativa è enorme. La differenza di qualità tra i giocatori è altrettanto grande. Ma in Europa si sta lavorando bene e l’Eurolega mi piace molto. Un giorno, magari, tornerò a disputarla».

Primo aprile 1961-primo aprile 2021: qual è stata la più grande soddisfazione, e quale il maggior rammarico?
«Ho fin qui avuto una vita piena. Ma non vince la pallacanestro. Prevale la sfera familiare. La cosa migliore è la nascita dei miei figli. La morte di mio padre è la tristezza più grande».

Qual è il giocatore più forte con cui ha lavorato? E quale quello che avrebbe desiderato allenare?
«Pau Gasol, tra i cestisti allenati, è colui il quale ha raggiunto le vette più alte. Non è l’unico campione. È in ottima compagnia. Avrei lavorato volentieri con Michael Jordan, LeBron James e Kobe Bryant. La loro ossessione per la vittoria sarebbe stata uno stimolo interessante per me».

Cosa manca al movimento italiano per avvicinarsi a quello spagnolo?
«Se pensiamo al vertice, ossia alla serie A, manca un numero maggiore di club con grande solidità economica. Squadre che possano allestire roster molto competitivi. E poi mancano impianti per il vertice e impianti per la "base", ossia per i bambini che si avvicinano alla pallacanestro».

Chi è, al momento, il giocatore più forte al mondo? Quale lo spagnolo più dotato? E l’italiano più forte?
«LeBron è il numero uno. Lo spagnolo più forte credo sia ancora Gasol. L’italiano al top è Gallinari, che in Nba può fare ancora la differenza».

 

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