Arrivano a Brescia i terribili tongani

Se avete in mente di assistere a Italia-Tonga, il prossimo 10 novembre allo stadio Rigamonti di Brescia, oltre a un'occhiata alle regole del rugby (per chi non le conosce, s'intende), vi farà bene dare una ripassatina a dittonghi, iati e apostrofi.
Il nome per esteso di Tupou VI, attuale sovrano del regno di Tonga (centomila abitanti, meno di Brescia città, sparsi su 176 isole in mezzo all'Oceano Pacifico), è infatti Ahoeitu Unuaki'otonga Tuku'aho, ma nella squadra di rugby ci sono anche Damien Fakafanua, Ilaisia Ma'asi, Pepa Koloamatangi, per citarne solo alcuni.
Il grande esploratore inglese James Cook, quando approdò da quelle parti, nel 1773, ribattezzò l'arcipelago «The friendly islands», le isole amiche, probabilmente per distinguerle da altre che lo erano assai meno. E difatti quando sbarcò alle Hawaii, Cook finì ammazzato senza tante storie.
Molto tempo dopo, nel 1986, la nazionale gallese, in tournée nel Pacifico, trovò Tonga assai meno «friendly» di come le cronache l'avevano descritta a suo tempo: la partita, vinta dal Galles 15-7, dopo la Sipi Tau (una danza di guerra locale simile alla più celebre Haka dei neozelandesi) si trasformò in una delle più tremende risse mai scoppiate su un campo di rugby e Jonathan Davies disse che i tongani erano la squadra più scorretta mai vista.
In realtà, non è che a Tonga fossero diventati di colpo feroci, il problema stava in un'idea del gioco allegramente anarchica in cui l'obiettivo principale, più che portare la palla in meta, era abbattere gli avversari: una specie di «palio del Saracino», in cui al posto del mazzafrusto si adoperavano la spalla e la parte alta del braccio per colpire dove capitava, al tronco, al petto, a volte addirittura al collo.
A rugby nelle Isole Tonga si giocava già dai primi del 1900, grazie a un discreto via vai di studenti e insegnanti australiani e degli immancabili britannici che, com'è noto, sono sempre dappertutto dove c'è qualcosa che assomigli all'avventura. Il loro anno di gloria fu il 1999: in estate batterono la Francia e a ottobre, alla Coppa del Mondo che si giocava in Inghilterra, superarono l'Italia con un drop da metà campo, a tempo ormai scaduto.
Quell'edizione dei Mondiali fu l'inizio della loro diaspora rugbistica: il professionismo offrì a un popolo di vigorosi giocatori dilettanti l'occasione di trasferirsi in Europa per fare del rugby un lavoro. Altri tongani (uno su tutti, Jonah Lomu), nel frattempo, erano approdati in Nuova Zelanda e in Australia.
A Calvisano arrivò Milton Ngauamo che fece parte della squadra dello scudetto 2005. L'anno scorso, al tricolore giallonero ha dato il suo contributo un altro tongano, Paino Hehea. Imprevedibile nell'organizzazione, lontana dai circuiti professionistici più ricchi, in difficoltà nel radunare giocatori sparsi in tutti i continenti, la Nazionale di Tonga ogni quattro anni ritrova la propria identità in occasione dei Mondiali. L'anno scorso in Australia, i tongani batterono addirittura la Francia. Di quelli che verranno in Europa questo autunno, invece, nessuno sa niente. Saranno una sorpresa per tutti. Da prendere con le molle.
Gianluca Barca
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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