Nino Bertasio, in missione sul green: «Perché non esiste un piano B»

Non sempre la vita disegna il tracciato che hai progettato. Può infatti offrirti molto di più. È successo a Nino Bertasio, 33 anni, oggi uno dei più forti golfisti italiani che - in realtà - avrebbe voluto fare solo l’istruttore. Nato in Svizzera («da quella terra - afferma sorridendo - ho preso solo il dono della puntualità»), arrivato da bambino in Italia con la famiglia, ormai salodiano d’adozione, si diede a questo sport perché era quello che più gli sembrava somigliasse, almeno nell’uso della mazza, all’hockey ghiaccio, praticato nel Paese natio. Di calcio neanche a parlarne («seguo giusto le partite della Nazionale, ma quelle più importanti»), il golf gli piacque subito, eppure lo mollò presto, dai 13 ai 17 anni.«Avevo altre distrazioni - racconta -, a quell’età sei attratto da mille altre cose».
Il ritorno
Non a caso, in quel periodo conobbe Laura, la ragazza che poi ha sposato. Il ritorno di fiamma verso il green, favorito anche dalle insistenze dell’amico Michele Zanini, lo spinse a una decisione, quella di insegnare questa disciplina, piuttosto che praticarla. Ai corsi di Roma, però, la sua bravura fu notata dal maestro Massimo Levi, che invece gli consigliò di gareggiare. Sono le svolte che ti cambiano l’esistenza, sta a te individuarle. «Mi diedi un anno di tempo, i risultati arrivarono quasi subito. Alla fine non ebbi dubbi, e accettai l’opportunità di diventare professionista». Lo fu a tempo pieno nel 2011, e subito vinse il primo Open, a Marrakech. Oggi Bertasio è un frequentatore abituale dei circuiti più importanti, ha gareggiato ovunque e ha anche coronato il sogno di conoscere Tiger Woods. «Passavo le notti a seguirlo in tv - racconta ancora -, fu una grande emozione vederlo da vicino». La prima volta avvenne in Georgia, nell’aprile del 2010, al ritorno agonistico del campione dopo un incidente stradale che aveva rivelato al mondo i suoi tradimenti extraconiugali. «È impressionante cosa possa scatenare la sua presenza - ricorda -. Da giorni gli alberghi in zona erano pieni». E gli occhi gli si illuminano. Anche Bertasio ha scritto un piccolo pezzo di storia, perché nel 2016, assieme all’amico Matteo Manassero, a Rio rappresentò l’Italia a quell’Olimpiade da cui il golf mancava da oltre cento anni, e cioè dall’edizione del 1904.

L'esperienza olimpica
«Un’esperienza straordinaria, ci sentivamo gli occhi del mondo addosso.L’atmosfera dei Giochi è unica, perché puoi incontrare con facilità atleti di altri sport. Passavo ore a seguire dal vivo le partite di tennis, il mio secondo amore, ed era normale viaggiare in navetta verso i campi assieme ai più grandi campioni». La carriera di Bertasio è stata costruita anche grazie a scelte definitive. «Non dev’esserci un piano B, non lo devi neppure contemplare, se vuoi davvero andare avanti. Altrimenti ti arrendi alle prime difficoltà e ti accontenti di quello che avevi». Essere golfista d’elite è faticoso, implica l’allenarsi tutti i giorni, curare molto la parte atletica, essere sempre disposti a rimettersi in discussione.

Da qui la scelta, dopo anni, di affidarsi al coach Robert Rock, dopo il felice rapporto con Franco Maestroni e Alberto Binaghi con i quali Nino è cresciuto. Al tempo stesso, Bertasio accetta con realismo l’estrema imprevedibilità degli eventi. «A volte basta un attimo, manchi la buca per due, tre volte, magari anche solo di pochi millimetri, e finisci col perdere fiducia». Attraverso il golf Nino ha girato il mondo, però le sue radici sono ben ancorate qui. Quando è a Salò, tutti i fine settimana sono dedicati alla famiglia e agli amici, in cima alla sua scala di valori c’è sempre Laura, la ragazza che conobbe da adolescente. Quando può, lei lo segue sui green ed è la più accanita tifosa. Una solidità di principi che spiega molto del Bertasio golfista e soprattutto del Bertasio uomo.
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