Mille Miglia 2024, Michele Cibaldi: «Il mio sogno ora è farla al fianco dei miei tre ragazzi»

Hanno sfidato l’età. Non la loro – che se tutto andrà come deve andare li rivedremo su questi schermi ancora per decenni – ma quella della vettura con la quale hanno scelto di affrontare la gara. Michele Cibaldi e Andrea Costa stanno correndo su una Bugatti T35 che il prossimo anno compirà cento anni. «E gli acciacchi si stanno facendo sentire tutti. Lo sapevamo, ma speravamo anche meno» ammette Costa.
Pantaloni sporchi di olio fino al ginocchio, mani segnate dai guasti meccanici. Eppure lui e Michele Cibaldi non perdono mai la serenità. O quantomeno sono bravi a mascherare le arrabbiature. Come quando a Torino sono arrivati – loro che partono con il numero nove – nel gruppo di mezzo.
Andrea Costa, cosa è successo?
«Di tutto e di più. Abbiamo rotto un pezzo dell’albero di trasmissione e l’abbiamo sistemato. Poi abbiamo dovuto cambiare già dieci set di candele, la temperatura dell’acqua continua a salire e non siamo mai tranquilli. È una macchina del 1925 ed è la prima volta che affronta una gara così lunga: bisogna metterla a punto. Avevamo cercato di portarci avanti il più possibile prima della partenza, ma chiaramente i problemi saltano fuori usandola».
Sereni, ma tesi. È la fotografia giusta?
«Sì, c’è un po’ di apprensione perché si corre stando sul chi va là e non si sa mai come si potranno affrontare le prove. Ad esempio, nelle ultime che abbiamo fatto prima di arrivare a Genova, le candele si sono sporcate e quindi la vettura non andava avanti, non aveva potenza e diventa tutto più stressante. Fa parte del gioco».
Lo sapevate però che sarebbe stata una gara così…
«Sì, speravamo un pochino meno (ride ndr). D’altronde la macchina compie cento anni l’anno prossimo, quindi ha tutto il diritto di fare i capricci. Guarda qui: tutto olio bollente che ha perso sulla mia gamba. Perde anche tre litri e mezzo di acqua ogni cento chilometri. Ma resta una bellissima macchina. La mia bambina dice che è un drago blu che sputa fuoco e ci riempie di graffi».
Facendo tutte le scaramanzie del caso, la domanda è doverosa. Ma ci arrivate a Brescia?
«È il nostro obiettivo. Vedremo se la Bugatti ce lo permette». Mentre Andrea Costa ricostruisce i due giorni tra rotture e guai meccanici, Michele Cibaldi parla con la famiglia che lo segue a distanza. Ecco, la famiglia. Quella di origine lo ha fatto innamorare dei motori e della Mille Miglia.
Michele, anche per te come per altri equipaggi in gara la Mille Miglia è qualcosa di profondo, come può essere un legame tra padre e figlio innamorati dello stesso sport?
«Assolutamente sì. A casa mia il primo a cimentarsi con la Mille Miglia è stato mio papà all’inizio degli anni Ottanta. Lui ha dato il via e io sto portando avanti la sua passione. Ci pensavo proprio l’altro giorno, prima della pedana a Brescia: l’ultima che abbiamo fatto insieme io e papà è stata nel 2010, quando avevamo vinto la corsa in termini di penalità. Eravamo arrivati decimi nella classifica generale perché la mia Gilco aveva un coefficiente basso». Una soddisfazione.
Ora il sogno è proseguire la tradizione di famiglia?
«Sì, è stata un’esperienza bellissima quando ho corso con mio padre. E ora guardo al futuro. Io ho tre figli maschi, vediamo cosa si può fare. Il primo sarà maggiorenne tra 8 anni, il secondo tra 10 e il terzo tra 14: spero di riuscire a correrne una al fianco di ognuno di loro». Oppure tutti insieme in una sola edizione di 10 giorni, dato che ormai la Mille Miglia si allunga sempre più… «Bé, potrebbe succedere in effetti. A me l’idea non dispiace. Io la farei anche di due settimane a questo punto: basterebbe guidare un po’ meno e godersi di più i paesaggi, i luoghi, la gente. Però resta sempre un’inimitabile avventura bestiale».
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