Marcell Jacobs: a Belve il rapporto col padre, ma anche con Tortu

Dietro la potenza delle sue falcate si nasconde una storia fatta di silenzi, ferite e risalite. Marcell Jacobs ha scelto di raccontarla, mettendo da parte il ruolo da campione per mostrarsi semplicemente uomo. Ospite di Francesca Fagnani a Belve, su Rai 2, l’oro olimpico di Tokyo 2020 si è lasciato andare come forse mai prima d’ora, tra emozioni trattenute e verità a volte difficili da confessare.
Tanti i temi affrontati: dai successi sportivi alla sfera privata, passando per l’inchiesta della Procura di Milano sugli accessi illegali alle banche dati dello Stato, in cui risulta coinvolto Giacomo Tortu, fratello e manager di Filippo. Ma anche il difficile rapporto con il padre, incontrato per la prima volta a 12 anni, senza provare «assolutamente niente. Da piccolo mentivo a me stesso, raccontandomi che mio padre era un eroe di guerra e che per questo era lontano da casa. Tutti erano entusiasti di ascoltare quelle storie, ma dentro di me soffrivo. Vedevo i miei compagni con una famiglia unita, mentre io disegnavo solo mia madre».
Sullo scandalo dello spy-gate e su cosa realmente venisse cercato, Jacobs ha commentato: «Magari pensavano che utilizzassi doping. È stata una notizia che mi ha profondamente sconvolto: non me lo sarei mai aspettato. Nel momento in cui ho vinto le Olimpiadi, ho in qualche modo oscurato il percorso che Filippo aveva costruito dal 2018. La cosa che mi ha dato davvero più fastidio è stata la violazione della mia privacy. Per come conosco Filippo, non potrei mai pensare che fosse a conoscenza di quanto accaduto. Se dovesse emergere il contrario, sarebbe una batosta pesante, personale e per tutta la squadra della staffetta».
Jacobs ha ammesso che le voci sull’utilizzo di sostanze dopanti dopo l’oro alle olimpiadi lo hanno parecchio infastidito. «Finché le accuse arrivavano dall’estero non mi toccavano. Ma vedere il sospetto nascere all'interno del mio Paese mi ha fatto davvero male. Imbrogliare non è mai stato parte del mio DNA. Se sapessi che un mio collega facesse uso di doping, lo denuncerei senza esitazioni».
Infine, lo sprinter ha ammesso di avere ancora grandi ambizioni. «L’emozione di rivincere le Olimpiadi la rivivrei volentieri. Continuo a correre per volere mio, non per dovere: quando queste motivazioni verranno a mancare sarà l’ora di smettere».
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