L’oro nel curling luccica quanto e come gli altri

Quanto vale il successo di Stefania Constantini e Amos Mosaner, vincitori ieri del doppio misto nel curling, uno sport di cui la stragrande maggioranza del paese ignora non solo l’origine, ma persino le regole di base? Quanti praticanti ci sono in Italia? Le medaglie si pesano, non si contano, dice qualcuno: vuoi mettere la vittoria nel curling con quella di Jacobs a Tokyo? O anche solo con quella dello svizzero Feuz in discesa libera, specialità nobile quanto quelle dell’atletica: dalla cima della montagna a valle nel minor tempo possibile?
Discussioni inutili. Figlie di un tempo obbligato a fare graduatorie in ogni campo, dal Pil ai mercati, se i numeri non ti premiano sei fregato. Una volta lo sport era soprattutto di chi lo praticava. Esercizio virtuoso, di cui ciascuno si compiaceva nel proprio campo. C’era chi correva, chi cavalcava, chi pedalava, chi tirava di spada o di fioretto, chi calciava il pallone tondo e chi si destreggiava con i rimbalzi imprevedibili di quello ovale. Una vittoria era un premio al proprio impegno: ginnasti e pugili, lottatori e nuotatori si battevano per se stessi e per la propria gloria. Poi lo sport è diventato spettacolo, business, industria globale. Ha attirato gli interessi degli sponsor e delle televisioni internazionali: la Rai ha pagato 80 milioni di euro a Discovery per trasmettere i Giochi di Pechino e gli esperti stanno ancora facendo i conti di quanto abbia perso Djokovic per la mancata partecipazione all’Open di Australia.
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La medaglia d’oro nel curling ha fruttato a Costantini e Mosaner 175 mila euro di premio, quelle di Tokyo ne valevano 185 mila. I vincitori dell’Europeo di calcio, la scorsa estate, hanno incassato 250 mila euro a testa. Ha senso chiedersi quale successo valga di più? Nato per scherzo lo sport prima era gioco, poi è diventato un’attività di importanza fondamentale: ai primi del Novecento, i britannici a Saint Moritz si buttavano per scommessa a capofitto nella Cresta Run, poi ribattezzata «keleton», e i nordici si inseguivano da un villaggio all’altro sci ai piedi. Il gioco del curling compare in un dipinto di Bruegel il Vecchio del 1537, «Cacciatori nella neve».
Siamo noi a voler dare a queste discipline un valore comparabile con altre, magari più popolari, più note. A cercare un senso in ciò che dovrebbe essere semplicemente espressione del proprio talento, della propria passione e dedizione. E se la televisione ci obbliga ad essere spettatori dei gesti altrui, accontentiamoci di applaudire i vincitori. Qualunque sia il loro campo di gara sono tutti meritevoli di un «bravo».
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