È di Gavardo uno dei più forti tiratori al piattello del mondo

Non c’è gioia più grande per un nonno che avere il nipotino di 12 anni non solo come compagno di giochi, ma anche di allenamento. È quanto succede a Giovanni Zamboni, nato e cresciuto a Gavardo, che a 71 anni è ancora uno dei più forti tiratori al mondo, con ben 41 titoli italiani alle spalle, uno europeo, un altro mondiale, per non parlare delle tante Coppe del mondo conquistate con la maglia azzurra. Una straordinaria longevità sportiva, maturata non solo grazie ai tanti anni di allenamento nei poligoni, ma soprattutto con una vita sana («mai fumato, e mi concedo qualche bicchiere solo con gli amici»), alimentata da mille interessi e dalle tante ore passate assieme al piccolo Andrea, 12 anni.
Le parole
«Nella nostra attività è fondamentale tenere sveglia la rapidità di riflessi. In questo mi aiuta molto il nipotino, con le tante partite giocate assieme a calciobalilla in oratorio». Le mani di Giovanni non hanno mai tremato, nonostante una vita dura in fabbrica, spesa spesso nei turni di notte come capoturno della Falck a temprare nastri di acciaio. Poi, a 54 anni, la meritata pensione e la possibilità di dedicarsi a tempo pieno a una disciplina nata e cresciuta con lui, di cui non solo è campione ma anche divulgatore. Nel compak sporting, a differenza delle tradizionali specialità del tiro a volo, le traiettorie sono le più varie, perché i piattelli simulano i movimenti degli animali, dalla lepre al fagiano, dalla tortora al colombaccio, mai nessuna prova è simile a un’altra, così come i poligoni. Da qui l’impossibilità di farne una disciplina olimpica, non potendoci essere un omologo metodo di valutazione. Eppure, i praticanti sono in continuo aumento, affascinati dall’estrema imprevedibilità di ogni gara.
«Alla fine vince comunque sempre il più forte - osserva Zamboni - e non ci sono alibi. Più che la precisione al tiro, è la testa a rompere il piattello, è tutta una questione mentale. Ho visto tanti bravi atleti sciogliersi il giorno della gara, traditi dalla tensione. Bisogna invece crescere anche con le sconfitte e riconoscere la superiorità dell’avversario. Non mi piacciono quelli che contestano le decisioni arbitrali, un piattello è rotto o no. Alzare la mano per chiedere una verifica del verdetto ti toglie sicurezza, invece che accrescerla. Resti col dubbio di non aver centrato il bersaglio e te lo porti dietro per tutta la giornata, perdendo serenità».
La fama
Grazie a questo sport, Zamboni ha viaggiato in tutto il mondo, condiviso esperienze, allargato gli orizzonti. «Sono stato tre volte a San Pietroburgo, ho girato l’Europa, conosciuto gli Stati Uniti e il Sudafrica. Ho capito quanta affinità ci sia tra i popoli e come siano incomprensibili le guerre, che finiscono col colpire sempre i più deboli». Con un curioso paradosso. «È a Gavardo che mi conoscono meno - scherza -. O, meglio: qui tutti mi chiamano Paolo, che è poi il mio secondo nome e credono che Giovanni sia un altro».

In realtà, Zamboni in paese è una vera celebrità, più volte è stato premiato dal Consiglio comunale per i suoi successi, e ha cominciato a diffondere la conoscenza del compak sporting anche a casa sua. Tra le sue allieve c’è la diciannovenne Veronica Bertoli, originaria di Sopraponte di Gavardo. «La prima cosa che le ho insegnato è comportarsi bene in gara. L’avversario va rispettato, gettare a terra la cartuccia imprecando per un errore - come fanno in tanti - vuol dire solo disturbare chi sta gareggiando accanto a te». Mente libera per sparare meglio, riconoscere i veri valori della vita, accettare con serenità lo scorrere del tempo, condividerlo con chi è stato sempre accanto a te. Ha centrato tutti i bersagli, Giovanni Zamboni. Uno gli sta più a cuore di tutti. «Ho conosciuto mia moglie Gabriella quando eravamo entrambi ragazzini. Non ci siamo mai più lasciati e, prima di diventare nonna, mi seguiva ovunque per le gare in Italia e in Europa. Senza di lei, nulla sarebbe stato possibile. Sono orgoglioso di averla sposata e, se fosse possibile, la risposerei ancora». Una splendida dichiarazione, da un innamorato di 71 anni.
@Sport
Calcio, basket, pallavolo, rugby, pallanuoto e tanto altro... Storie di sport, di sfide, di tifo. Biancoblù e non solo.
Come funziona il compak sporting
Il compak sporting è una disciplina di giovane apparizione in Italia. Ha cominciato a essere praticata nel nostro Paese negli Anni Ottanta e sta conquistando sempre più appassionati. È uno sport a metà strada tra caccia e tiro a volo, e all’inizio era stato concepito per essere svolto nella natura,ma per le difficoltà sorte dall’inquinamento acustico e per i problemi legati alla raccolta di bossoli, borre e piattelli, si è spesso orientata verso i campi di tiro dove si è affiancata a skeet, trap e fossa olimpica. Sono necessari da 5 a 7 piazzole e tecnici capaci di realizzare percorsi adeguati e soprattutto divertenti. Le quattro postazioni di tiro misurano un metro per uno, sono disposte in linea retta e parallela alla linea che unisce la macchina lanciapiattelli del lato destro con quella del lato sinistro, a una distanza che può variare dagli 8 ai 15 metri. Il lancio dei piattelli può essere manuale, per mezzo di un comando a distanza, con un ritardo nel lancio che deve variare da zero a tre secondi in caso di uso del microfono. Le traiettorie sono le più varie perché simulano i movimenti degli animali.
È uno sport che si ispira alla caccia, non la sostituisce (è vietato mirare o puntare un animale vivo) e si svolge in condizioni di massima sicurezza. È vietato toccare il fucile di un altro tiratore senza autorizzazione, nessuna simulazione di tiro è autorizzata al di fuori delle piazzole, o mentre un tiratore si accinge a sparare i propri piattelli.
In nessun caso il tiratore deve entrare nella piazzola di tiro, prima che il tiratore precedente non l'abbia lasciata. L’Italia, a livello internazionale, è molto forte, e già nel 1987 aveva una sua Nazionale. Nella specialità itinerante (quella che si svolge all’aperto) i maestri da battere sono invece gli inglesi, e nel nostro Paese è praticabile solo in quattro impianti: a Vergato (Bologna), Laterina (Arezzo), Piancardato (Perugia) e a Orvieto.
In provincia di Brescia, oltre a Giovanni Zamboni, c’è un altro affermato campione ed è il giovanissimo Matteo Plodari, 20 anni, di Pralboino, più volte convocato in Nazionale. Quattro le categorie: dai 12 ai 20 anni, dai 20 ai 56, dai 56 ai 65; poi l’attività prosegue dai 66 anni in su, per i veterani. Giovanni Zamboni non si pone limiti di età. «Gareggerò fino a quando me lo consentiranno le condizioni fisiche. Per ora, è uno sport che non mi stanca. Anzi, rafforza il livello di concentrazione e consente di stare in contatto con la gente». A 71 anni il campione bresciano continua ad andare in trasferta, come successo a inizio mese per il Gran premio di Foligno. «Sono partito con alcuni compagni di squadra il venerdì e siamo tornati la domenica - racconta -. Unico problema: costo della benzina e delle cartucce, in continuo aumento...».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
