Camplani, il bresciano che ha fatto crescere il ciclismo in Eritrea

C’è un lembo della terra d’Africa dove batte forte il cuore per Brescia grazie a Guido Camplani, straordinario pioniere del ciclismo in Eritrea dove nei primi anni del Duemila creò il gruppo «Scuola italiana di Asmara» grazie al quale molti ragazzi hanno potuto trasformare la loro passione in uno sport. I primi allievi, quando vi arrivò nel 1999, furono i suoi studenti. «Insegnavo la nostra lingua all’estero – ricorda – dopo 4 anni a Londra e 7 in Slovenia nel 1999 accettai la proposta di andare in Africa. Ci fu subito una cosa che giudicai di buon auspicio perché appena arrivato vidi allenarsi degli amatori e allora mi unii a loro».
La scena si ripetè nei giorni successivi e non sfuggì ai suoi alunni delle medie. «Mi chiesero di formare una squadra e di occuparmi della preparazione. Cosa trovai i primi giorni? In città quasi tutti circolavano in bici, dirigendosi poi verso la campagna si incontravano file interminabili di veicoli a due ruote che la mattina portavano in città frotte di persone dai villaggi. Uscire per un allenamento significava essere subito circondati da uno stuolo di ragazzini e persino dagli adulti che alla prima salitella ti sfidavano in volata».
In bici a 40°C
Pedalate in tutte le condizioni e su ogni superficie con 40 gradi, sole allo zenit e su strade asfaltate dai nostri bisnonni 90 anni fa. I mezzi? Scarsi e limitati. Allora Camplani chiese aiuto ai tanti amici lasciati in Italia con l’iniziativa «Una maglia per l’Eritrea» lanciata con la Cicli Tanfoglio per procurare materiale sportivo da inviare ad Asmara su container. Presto vi aderirono anche aziende come Aspiratori Otelli e società come Paderno Franciacorta/Pedale Gardonese, marchi che presto diventarono familiari in Africa perché finivano sulle maglie della squadra durante le gare.
Come si svolgevano? «Su circuiti non molto lunghi, chiusi al traffico dalla mattina al pomeriggio per consentire corse delle diverse categorie. L’ingresso a pagamento nella zona transennata non impediva la presenza anche di ventimila spettatori». Camplani come insostituibile punto di riferimento per tutti: a inizio gara per gli ultimi consigli e alla fine per organizzare il ritorno a casa, spesso su improvvisati camion zeppi di ragazzi.Immagine
In questa terra martoriata non siamo proprio stati «italiani brava gente» secondo una comune letteratura. Quando l’Eritrea è stata nostra colonia c’era un viale nella capitale riservato al passaggio di soli uomini bianchi. Ma grazie anche a uomini come Guido Camplani la nostra immagine negli anni è molto cambiata e la comunità italiana è stata un punto di riferimento anche negli anni peggiori, quelli fra il 1998 e il 2000, scegliendo di restare sul posto nonostante l’esercito etiope fosse ormai alle porte della capitale. Questo sconosciuto eroe dei nostri tempi ha fatto molto di più, collaborando con le Ong per assistere i profughi. In Eritrea Camplani ha portato la cultura dell’allenamento con tabelle personalizzate redatte dalla Mapei del compianto Aldo Sassi, ha organizzato corsi per la manutenzione della bicicletta e progettato un centro di medicina sportiva.

Con lui la squadra juniores della Scuola italiana ha conquistato il titolo nazionale. E alla cena d’addio, quando nel 2006 si è esaurito il suo impegno professionale, la gente del posto ha stipato la sala in ogni ordine di posti ed è spuntata qualche lacrima. Sono passati quasi vent’anni, i ricordi sono ancora lì. «Il ritorno a Gussago, dove ora risiedo, è stato duro – ammette Guido che ha da poco compiuto i 67 anni -. Il male d’Africa esiste davvero, ero abituato alla luce di quei posti, al sorriso della gente, alla facilità nel coltivare rapporti umani. Ho vissuto momenti difficili e provato un’immensa nostalgia».
Ma dall’Africa Camplani è tornato col dono più bello, il sorriso della moglie Neghisti che ha conosciuto lì. Il loro figlio si chiama Roberto, è cresciuto in Italia e, ovviamente, pratica il ciclismo con esordi proprio alla Ronco di Gussago. La casa dei Camplani è tuttora un approdo sicuro per i tanti amici eritrei, fra gli ultimi a passare di qui Domenico Vaccaro, venuto anni fa a correre in Italia da dilettante dopo aver cominciato col maestro Guido. Per tutti Camplani ha il consiglio giusto. «Non mi sembra di aver fatto nulla di particolare conclude con modestia - la mia è una storia come tante altre».
Bici per i bimbi promossi

Del resto, il lavoro di Camplani in Africa non è stato dimenticato. Ecco cosa ha detto di lui Michael Tkue (classe 1981) due volte campione nazionale e vincitore di un Giro dell’Eritrea, alla cui organizzazione ha collaborato lo stesso Guido. «È stato mio allenatore alla Scuola italiana ed è stato lui a dare un grandissimo contributo allo sviluppo del ciclismo nel Paese. Ha investito tempo e denaro, ha creato una squadra juniores, ha fatto davvero un grande lavoro nel periodo in cui è stato da noi».
Sulla scia di quella passione seminata dal pioniere bresciano si sono imposti campioni del calibro di Daniele Teklehaimanot, affacciatosi di prepotenza nel 2010 sulla scena del ciclismo continentale. In quella stagione, a soli 22 anni, fu protagonista ai campionati africani su strada disputatisi a Kigali conquistando tre ori (strada, crono e cronosquadre), impresa mai riuscita a un atleta del suo Paese e nel giro di dieci giorni si aggiudicò anche il Tour di Rwanda.
Pedalare in Eritrea

Grazie a quei successi che infiammarono il Paese il ciclismo è diventato sempre più popolare al punto che i genitori ora invogliano i figli a studiare promettendo loro una bici da corsa in caso di promozione. Oltre all’aspetto agonistico c’è quello cicloturistico. «Pedalare in Eritrea – spiega Camplani - può essere una di quelle esperienze che difficilmente si dimenticano. La morfologia del territorio si presta ad escursioni in mtb e gli itinerari offrono sempre panorami variegati e spettacolari. L’altopiano centrale è l’ideale punto di partenza. Scendere verso la costa del mar Rosso a est, o verso il lontano Sudan a ovest, offre la possibilità di itinerari lungo ampi sterrati in terra rossa . Risalire invece verso l’altopiano è più impegnativo, ma nulla vieta di fermarsi più volte per ammirare un ambiente sempre ricco di sorprese. Il territorio è sicuro, la gente molto ospitale e anche trovandosi in difficoltà si incontrerà sempre qualcuno disposto a dare una mano e farsi in quattro per toglierci dai guai».
Camplani lo ha sperimentato quando nel 2003 assieme a Guido Traverso si è cimentato nella Massaua-Assab percorrendo 600 km in sei giorni su strada tutta sterrata. «Il contesto era stupendo, incrociavamo spesso i dromedari. Eravamo costretti a bere anche 10 litri d’acqua a tappa e alla fine ce l’abbiamo fatta».
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