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25 anni da record: il primato mondiale di Lamberti

Il 15 agosto 1989 il record di Lamberti nei 200 stile libero: «L’acqua non regala niente, ma ti ridà in base a quanto fatichi».
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Il 15 agosto di venticinque anni fa, Giorgio Lamberti stabiliva il record del mondo dei 200 metri stile libero. Vincendo l’oro agli Europei di Bonn col tempo di 1’46’’69, l’allora ventenne bresciano batteva l’1’47’’25 dell’australiano Armstrong, impossessandosi di un primato che avrebbe conservato per quasi due lustri.

Giorgio, cosa ricorda di quel Ferragosto tedesco?
«Tanti aspetti: l’atmosfera della giornata, le buone sensazioni avvertite sin dalle qualificazioni mattutine, il clima di serenità che si respirava nel gruppo, l’armonia tra atleti e tecnici».

Aveva programmato di battere il record del mondo?
«Ero convinto di poter fare una grande gara, avevo ambizioni alte, ma l’obiettivo era conquistare l’oro, non pensavo al tempo. Volevo vincere a tutti i costi per cancellare la delusione olimpica di Seul e sfatare il tabù della vittoria, dopo i secondi posti sia agli Europei juniores sia a quelli assoluti di Strasburgo 1987. In più ci tenevo a battere per la prima volta il mio avversario più forte, lo svedese Holmertz».

Ripercorriamo la gara. In camera di chiamata era tranquillo?
«Sì, scambiai due parole con Roberto Gleria, altro azzurro finalista, e poi mi concentrai».

La salita sul blocco di partenza?
«Decisa come sempre. Ero in forma strepitosa, sapevo di dover impostare la gara per vincere».

Pronti via e la sua cuffia bianca è subito davanti a tutti.
«Partivo sempre all’attacco, non mi piacevano le gare d’attesa. Toccai ai primi 50 in 25’’1. Io ero in terza corsia, Holmertz in quarta, siccome respiravo a destra lo vidi soltanto nella seconda vasca e capii che ero davanti. A metà gara passai in 52’’4».

Quando lanciò l’attacco decisivo?
«Nella terza vasca mantenni quel minimo di riserva, poi dopo il tocco in 1’19’’7 aumentai il ritmo e accelerai definitivamente. Non vedendo più lo svedese (alla fine terzo, preceduto anche dal polacco Wojdat, ndr) capii che stavo per vincere».

Cosa fece una volta toccata la piastra?
«Alzai lo sguardo verso il tabellone. Rimasi fermo un paio di secondi per leggere la classifica e purtroppo vidi che Gleria non era riuscito a salire sul podio. Nello stesso istante vidi però che accanto al mio nome c’era scritto "WR" (World Record, primato mondiale, ndr): cominciai a urlare, fu una gioia immensa. Quello che combinai prima di uscire dall’acqua non lo ricordo più».

Cosa accadde fuori dalla vasca?
«Condivisi la gioia con tutta la squadra e soprattutto abbracciai a lungo l’allenatore Alberto Castagnetti. Tra di noi c’è sempre stato un connubio profondo, sin da quando arrivò a Brescia nel 1986 per sostituire il mio primo tecnico, Pietro Santi, che mi aveva seguito sin dal 1980».

Quanto è stato importante Castagnetti nella sua carriera?
«Il nostro rapporto fu sereno sin dall’inizio. Non c’era grande confidenza, ma si lavorava bene e tanto. Alberto utilizzava metodologie statunitensi, nuotavo due volte al giorno per più di quattro ore, percorrendo dai 13 ai 15 chilometri quotidiani. Più che la quantità, contava la qualità del lavoro. Puntavamo molto sulla fase aerobica e avevamo sviluppato un percorso tecnico alla ricerca della resistenza alla velocità».

Bonn 1989 fu un campionato trionfale per il nuoto azzurro.
«L’Italia vinse 11 medaglie e io portai a casa tre ori e un bronzo. Il giorno dopo i 200 vinsi la 4x200 con Trevisan, Gleria e Battistelli, nuotando la terza frazione in 1’45’’53 con uno stacco di 32 centesimi. Quella è stata la mia più grande prestazione tecnica, perché il giorno prima volevo vincere l’oro e non pensavo al record. In staffetta invece ho corso contro il cronometro, realizzando il mio miglior tempo di sempre da lanciato. E pensare che la notte prima, dopo il record individuale, non avevo dormito».

Evidentemente era davvero in stato di grazia.
«Il terzo giorno erano in programma i 100, ma volevo saltarli per concentrarmi sui 400. Castagnetti mi fece cambiare idea, dicendomi che ero troppo veloce per lasciarmi sfuggire la medaglia. Al mattino feci la batteria in scioltezza senza cuffia e scesi per la prima volta sotto i 50’’, migliorando il personale di un secondo. In serata vinsi la finale in 49"24, il mio miglior tempo in carriera. La mattina successiva ero talmente stanco che rinunciai ai 400».

La quarta medaglia arrivò nell’ultima gara.
«Vinsi il bronzo nella 4x100 mista, correndo l’ultima frazione dopo Battistelli, Minervini e Braida».

Lei si considerava più un centista o un duecentista?
«Mi sentivo più un duecentista-quattrocentista che uno sprinter puro».

Nei 200 ha colto anche il suo titolo iridato.
«A Perth nel 1991, diventando il primo italiano a conquistare l’oro mondiale. Fu una gara tattica, vinta con la testa».

Il suo nome sarà per sempre legato al record di Bonn.
«Fu un primato duraturo perché ero stato il primo a lavorare specificamente sui 200. Il mio allenamento era improntato a migliorare le frequenze sulle quattro vasche, cosa che in quel tempo nessuno curava nel dettaglio. Nel nuoto non si inventa nulla perché il cronometro è spietato. L’acqua non regala niente, ma ti ridà in base a quanto tu fatichi negli allenamenti».

Per scalzarla dal tetto del mondo ci sono voluti quasi dieci anni.
«Per battere il mio tempo abbiamo dovuto aspettare prima i colossi australiani, Hackett (che cancellò Lamberti il 23 marzo 1999 nuotando in 1’46’’67, ndr) e Thorpe, poi l’olandese Van Den Hoogenband. Tre fuoriclasse della vasca che hanno sfruttato forza fisica e fase subacquea».

Poi l’evoluzione dei materiali ha stravolto tutto.
«L’attuale record del tedesco Biedermann (1’42’’00) è veramente difficile da battere. Il supercostume ha snaturato la disciplina, perché è stato come calarsi in acqua su un canotto di gomma, dove vinceva chi aveva maggiore potenza nella trazione».

Per chiudere, il record del mondo le ha cambiato la vita?
«No, ma è stato un momento di alta gratificazione. Mi sono preso intimamente una rivincita con me stesso, perché sono riuscito a concretizzare anni di sacrifici in acqua».

Mario Nicoliello

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