Scienza

Vortex, pattumiera gigante nel cuore dell'Oceano Pacifico

L'ambiente fa i conti con un aggregato di rifiuti raccolti da una corrente subtropicale
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Alla natura non bastano cinquecento anni per distruggere completamente ogni singolo sacchetto di plastica e la sensibilità del genere umano per la conservazione dell'ambiente dall'inquinamento non è evidentemente così spiccata. Questi due fattori insieme hanno creato un vero e proprio mostro: una discarica a cielo aperto con una superficie enorme, che galleggia al largo dell'Oceano Pacifico.

Un'isola di rifiuti

Battezzata dagli anglosassoni Pacific Trash Vortex (vortice-pattumiera del Pacifico) oppure Great Pacific Garbage Patch (grande area-immondezzaio del Pacifico) l'isola galleggiante è un aggregato di rottami e rifiuti non facilmente biodegradabili prodotti dall'uomo, con una percentuale molto alta - pari a circa l'80% - di materia plastica. La formazione di questa aberrante e poco noto "deposito di rifiuti" è legata alla North Pacific Subtropical Gyre, una corrente che si muove come un enorme mulinello nell'oceano. Il movimento a vortice delle acque del mare convoglia in un'area dell'oceano tutti i rifiuti solidi galleggianti dispersi nelle acque, scaricati dalle navi e soprattutto dalla popolazione delle città costiere.

Un fenomeno antico

Il fenomeno ha probabilmente avuto origine a metà del secolo scorso e ha subito un costante e preoccupante incremento negli anni, pur restando per lungo tempo misconosciuto. La pattumiera a cielo aperto è infatti localizzata in un braccio di mare poco pescoso, e quindi raramente frequentato da pescherecci, e fuori dalle rotte dei mercantili. Questa zona viene anche evitata dalle imbarcazioni a vela, perché solitamente presenta condizioni di alta pressione atmosferica ed è battuta da venti deboli.

Fin dall'antichità per le caratteristiche climatiche e di vento che la contraddistinguono si è guadagnata l'appellativo di "horse latitude" (la rotta dei cavalli) perché, nell'immaginazione degli antichi naviganti, sarebbe stata necessaria una moltitudine di cavalli da tiro per navigare e oltrepassare la zona sempre priva di vento.

Un ammasso di sporcizia

In oltre cinquant'anni l'ammasso di rifiuti si è fatto sempre più consistente, fino a raggiungere le attuali incredibili dimensioni: la sua superficie supera ormai i 2.500 chilometri di diametro per un peso stimato di rifiuti che si aggira intorno alle 100mila tonnellate. Malgrado venga definito spesso come un'unica grande formazione, l'immenso immondezzaio del Pacifico non è costituito da un'unica isola, ma da un vero e proprio arcipelago con due entità principali situate la prima a sud-ovest del Giappone e la seconda a nord-ovest delle Isole Hawaii.

La composizione di queste montagne di rifiuti è molto particolare. Non si tratta di oggetti integri ammassati in un'area di mare, o almeno non solo. La plastica galleggiando nel mare si modifica nel tempo, pur non andando incontro ad una vera e propria biodegradazione.

L'azione meccanica provocata dalle correnti oceaniche favorisce lo sminuzzamento dei detriti sintetici, che vengono rimescolati continuamente. Le minute particelle di polimeri, per opera delle onde interagiscono tra di loro e si aggregano in mix davvero dannoso per l'ambiente. Si forma così una sorta di mucillagine tossica che viene ingerita dagli animali acquatici più semplici e da qui, attraverso la catena alimentare, contamina pesci, tartarughe e mammiferi acquatici. Un percorso che non lascia scevro da rischi anche l'uomo che peraltro, sulle coste della California e delle isole Hawaii spesso assiste al triste spettacolo dello spiaggiamento di ammassi di rifiuti e della mucillagine che sfuggono al grande vortice oceanico e diventano anche un costo in tempo e mezzi da dedicare alla ripulitura.

L'impegno dei ricercatori

I ricercatori che si occupano di salvaguardia dell'ambiente e di biologia marina studiano da anni l'evoluzione di questa mostruosa formazione galleggiante. In particolare è oggetto degli studi finanziati e realizzati da Algalita Marine Research Foundation, un centro di ricerca privato fondato da Charles Moore, che da una decina d'anni esegue sopralluoghi e campagne di ricerca nella zona.

Non è infatti possibile osservare il fenomeno da lontano, perché la plastica risulta trasparente nelle immagini satellitari e l'unico modo per valutare le dimensioni e la topografia del fenomeno è recarsi periodicamente sul posto.

Le navi di ricerca nel corso delle campagne di esplorazione prelevano, servendosi di particolari reti e contenitori, campioni di detriti plastici che vengono poi studiati attentamente in laboratorio.

In sostanza sarebbe necessario un gigantesco battello-spazzino per bonificare il Vortex, una minaccia che galleggia nel cuore dell'Oceano e che mette ormai a dura prova l'equilibrio biologico di un'imponente fascia marina. Ci si può almeno pensare.

Maria Cristina Ricossa

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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