Scienza

Matematica del tumore per sapere se le cure funzionano

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Rendere il cancro più curabile, avvalendosi della matematica.

Questo lo sforzo della ricerca che ha come obiettivo quello di andare al di là della classificazione comune a tutti i tumori, ma di individuare la specificità di ciascuna malattia in relazione alla persona che ne è colpita.

Uno sforzo teso a dare risposte alle questioni cruciali che i clinici devono affrontare quando si è di fronte ad una diagnosi di tumore: risponderà al trattamento? Qual è il rischio di ricaduta? Qual è la prognosi per quello specifico paziente?

Si sente spesso parlare di «terapia mirata» nella cura dei tumori. Un concetto che parte dall’assunto che ognuno di noi è differente da altre persone e, di conseguenza, anche la malattia neoplastica - che già di per sé si presenta in modi diversi - a maggior ragione si evolve differentemente da organismo ad organismo.

Tra i molti strumenti per la terapia mirata nella cura del tumore, un ruolo di primo piano lo ricopre la matematica. Sì, proprio lei, quella materia che per molti è stata ostica negli anni della scuola.

Studi mirati sulla matematica del tumore, in particolare di quelli che colpiscono i polmoni e il fegato, sono in corso al Dipartimento di Radiologia dell’Università degli Studi di Brescia, diretto dal professor Roberto Maroldi.

Il tumore del fegato è relativamente raro. La sua incidenza è di 7 casi per 100.000 individui l’anno negli uomini e 2 per 100.000 nelle donne, pari a circa il 2% di tutti i tipi di tumore.

Situazione differente per il tumore del polmone che, da solo, rappresenta il 20 per cento di tutti i tumori maligni nelle persone di sesso maschile. «Nonostante le tecniche di immagine siano progredite e permettano di acquisire informazioni in modo molto rapido e dettagliato, la loro interpretazione è lasciata, nella maggior parte dei casi, all’occhio umano - spiega il professor Maroldi -. L’occhio dell’operatore permette certo di distinguere tra tumori che alla Tac risultano più o meno omogenei. Ma non è in grado di graduare in termini quantitativi la loro disomogeneità e, tantomeno, identificare le caratteristiche della complessità di uno specifico tumore».

Eppure, si tratta di «caratteristiche di complessità» che possono riflettere il tipo specifico di crescita della lesione, dando ad esempio informazioni se ciò è accaduto con pochi o tanti vasi di supporto.

«Immaginiamo una metropoli moderna: la presenza di energia e di strade di comunicazione condiziona la crescita dei suoi quartieri, che sarà ordinata o caotica in base al numero di servizi ed infrastrutture esistenti - continua Maroldi -. Parimenti, l’analisi matematica del tipo di complessità consente di cogliere nel quadro del tumore se la sua crescita è stata più o meno condizionata dal supporto vascolare o da altri fattori. Si tratta di elementi che possono produrre, a parità di lesioni, una diversa aggressività della malattia, o un differente grado di risposta alla chemioterapia».

Studiando le immagini con l’ausilio di un modello matematico, dunque, si scopre che, se esiste una rete vascolare molto efficiente, la risposta della terapia chemioterapica è efficace.

Per interpretare la «tessitura», ovvero la complessa specificità delle neoplasie, viene utilizzato uno strumento potente e molto sofisticato, il software «Texrad».

Uno strumento, dunque, che permette di leggere le informazioni cruciali sul tumore che si trovano nei dati radiologici, ma che l’occhio del radiologo non riesce, da solo, a leggere.

Per esempio, l’eterogeneità tumorale si traduce in ben note immagini caratteristiche, quali il disomogeneo miglioramento dopo la Tac con il mezzo di contrasto.

Sebbene tale disomogeneità sia percepita dagli occhi del radiologo, non può essere espressa con uno specifico valore, né quantificata. Probabilmente per questa ragione l’eterogeneità non è stata strettamente correlata agli esiti clinici.

Tuttavia, essa è un indicatore specifico, perché è dimostrato che ogni tumore possiede un grado variabile di eterogeneità sia a livello genetico, sia istopatologico. Inoltre, tumori con più alto grado di eterogeneità hanno prognosi peggiore, probabilmente per la maggiore aggressività biologica e resistenza al trattamento.

Non è possibile stabilire l’eterogeneità attraverso le biopsie. Dunque, è necessaria una soluzione non invasiva che dovrebbe rispondere a due prerequisiti: la tecnica dovrebbe essere in grado di stabilire in modo non invasivo un «target tumor phenotype» e dovrebbe quantificare l’intensità e la distribuzione del target nell’ambito del tumore.

L’eterogeneità nell’ambito del tumore può essere quantificata dalla «Texture Analysis», una branca della «imaging science» che ha come scopo quello di estrarre dati dalla distribuzione spaziale dei pixel con differenti livelli di grigio nelle immagini digitali attraverso complessi algoritmi matematici. Quantificare l’eterogeneità tumorale porta a nuove conoscenze sulla biologia del tumore in vivo, aiutando il radiologo a fornire una inaspettata risposta ad una domanda (non formulata ma cruciale) dei clinici e, perché no, del paziente stesso: risponderà, il tumore, al trattamento e alle cure?

Anna Della Moretta

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