Il Cern sfida la forza cosmica

L'acceleratore di particelle, elemento centrale e più spettacolare del Cern di Ginevra, è uno strumento fondamentale per conoscere i «segreti» della materia.
La macchina, un anello di 27 chilometri di circonferenza, è in grado di produrre e gestire fasci di ioni, più precisamente fasci di particelle elettricamente cariche, con elevata energia cinetica.
Il Large Hadron Collider, entrato in funzione il 10 settembre 2008, che ha rimpiazzato il Lep, è stato progettato per gestire per 7000 GeV (cioè 7 miliardi di elettrovolt) di energia massima per fasci di protoni. È la più alta della storia e permette condizioni sperimentali paragonabili a quelle dei primi momenti di vita dell'Universo, subito dopo il Big Bang. Già in queste righe si spiega il significato degli investimenti messi a punto per costruire l'impianto: conoscere la «matrice» della forza primigenia dell'universo significa gestire campi di energia sinora apprezzati solo in linea teorica.
Le applicazioni dell'Lhc portano allo studio della massa delle particelle elementari e della loro origine, ma anche del loro opposto, ovvero l'antimateria. A Ginevra questi concetti escono dai libri di fantascienza ed approdano nella realtà, con implicazioni che vanno oltre l'immaginazione. Sfruttare l'antimateria, infatti, potrebbe risolvere ogni problema energetico. Una sfida entusiasmante quanto pericolosa. Il contatto fra materia e antimateria è potenzialmente quanto di più ingestibile possa essere oggi concepito. Il Centro europeo per la ricerca nucleare, nato nel 1954, nel corso degli anni ha costruito diversi acceleratori, fino ad arrivare ad un «complesso». Fin dal principio, è stato infatti previsto che ogni nuova e più potente macchina avrebbe utilizzato le precedenti come «iniettori», creando una catena di acceleratori che porta gradualmente un fascio di particelle ad energie sempre più elevate.
I metodi per accelerare particelle sono basati sull'uso di campi elettrici e magnetici, di cui i primi forniscono energia alle particelle accelerandole e i secondi servono a curvarne la traiettoria sfruttando la forza di Lorentz o a correggere dispersioni spaziali e di impulso dei fasci accelerati.
L'ultimo nato, l'Lhc è costruito a circa 100 metri di profondità; al suo interno, si muovono fasci di protoni a velocità prossime a quella della luce (300mila km al secondo). La macchina accelera due fasci di particelle che circolano in direzioni opposte, ciascuno contenuto in un tubo a vuoto. Questi collidono in quattro punti lungo l'orbita, in corrispondenza di sale appositamente realizzate: Atlas, Cms, Lhcb e Alice. In queste gigantesche «caverne» d'acciaio numerosi rivelatori scansionano lo scontro programmato fra particelle.
Tra gli scopi principali degli studi, cercare fra queste particelle tracce dell'esistenza del bosone di Higgs, la particella «madre».
Il nuovo acceleratore, dopo alcuni problemi tecnici, ha prodotto risultati incredibili; è riuscito infatti a «ricreare» la materia dei primi istanti del Big Bang.
Con il protocollo Atlas si è potuto appurare che le collisioni di ioni di piombo a temperature altissime hanno prodotto uno stato della materia mai osservato finora: una sorta di «brodo» primordiale in cui le particelle normalmente imprigionate nei nuclei (quark e gluoni) galleggiano liberamente. Siamo ad un passo dall'energia «assoluta», tanto che i detrattori considerano questi esperimenti una minaccia per il nostro pianeta.
Gabriele Minelli
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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