Sala Libretti

Il cattolicesimo bresciano modello per la Croce Rossa

Presentato in Sala Libretti il volume curato da Corsini e Cipolla sull’associazione nata dopo «Solferino»
  • La presentazione di Corsini e Cipolla in Sala Libretti
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Un impegno umanitario appassionato, unito ad una eccezionale capacità organizzativa. Fu questo che Jean Henry Dunant vide a Solferino, tra i morti e feriti della terribile battaglia del 24 giugno 1859. Ne fu ispirato al punto da fondare su questi cardini la Croce Rossa Internazionale.

Ora un libro a cura di Costantino Cipolla e Paolo Corsini illustra in 600 pagine, fin dal titolo, «La genesi della Croce Rossa sul modello del cattolicesimo sociale bresciano»: chiarendo che proprio da questa radice una città di 32mila abitanti seppe trarre la forza e la capacità di ospitare ben 35mila feriti, tra i quali circa ottomila austriaci. Il libro è stato presentato ieri nella Sala Libretti del Giornale di Brescia, in un incontro guidato dal direttore Nunzia Vallini.

Con i curatori e alcuni dei 20 autori è intervenuto il sindaco Emilio Del Bono, che ha sottolineato «le radici peculiari del cattolicesimo bresciano: una predicazione cristiana che crea le condizioni dell’accoglienza, permettendo in quella occasione di curare anche i feriti austriaci. Un cattolicesimo che si fa opera, con una evidente inclinazione sociale. Infine, la qualità molto "bresciana" dell’organizzazione».

La carità, ricorda mons. Antonio Fappani nell’introduzione, è già «uno dei temi dominanti nella catechesi e nelle pratiche pastorali dei primi e più grandi vescovi bresciani». Alla figura del «prete sociale» si accosta con evidenza a Solferino quella della «suora sociale», come ha osservato ieri suor Maria Oliva, vicaria generale delle Ancelle di Carità che hanno sostenuto il volume: «Nel 1859 le Ancelle erano lì, donandosi con abnegazione al servizio dei malati. Tra i principi della Croce Rossa ci sono aspetti anche nostri, come quello del servizio a tutti i feriti senza distinzioni».

«Dunant - spiega Cipolla - ha colto una dimensione tipicamente lombarda del cattolicesimo, e l’ha trasferita a Ginevra facendone un progetto mondiale». In quegli anni a Brescia, aggiunge Corsini, «il vescovo mons. Girolamo Verzeri guidò un clero di estrazione popolare, con una fortissima vocazione caritativo-assistenziale. E l’amministrazione comunale di Brescia visse una grande esperienza di patriottismo civico».

Molte piste d’indagine segue il libro, approfondendo anche la figura di Dunant: non «massone mangiapreti», secondo Paolo Vanni che ne ha pubblicato le memorie, ma «credente convinto in un Dio non degli eserciti, ma che si spende per l’umanità». Carolina David, con Livia Giuliano, ha cercato (finora invano) testimonianze della sua presenza nella città di Brescia. «A Castiglione - racconta - Dunant notò soprattutto la disperazione delle vittime. Nell’"immenso ospedale" bresciano riconobbe invece le nostre capacità, il gesto umanitario unito a una struttura ben organizzata». Le radici, fino ad oggi non evidenziate, di un grande modello internazionale di assistenza.

 

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