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Un nuovo welfare a Brescia grazie alla cultura

Cresce l’offerta legata a musei, collezioni, mostre: un antidoto al senso di smarrimento e alle «passioni tristi» che attanagliano il nostro tempo
Visitatori al Capitolium, uno dei simboli culturali di Brescia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
Visitatori al Capitolium, uno dei simboli culturali di Brescia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Un tema sempre più presente all’interno di progettualità, proposte e iniziative promosse sul territorio bresciano è quello del «welfare culturale», espressione con la quale si indicano le attività e le esperienze culturali intenzionalmente indirizzate a generare valore relazionale e a promuovere benessere, salute e inclusione. Non si tratta solo di un’eredità importante dell’anno della cultura, ma di un orientamento in atto da molti anni e sperimentato in contesti eterogenei, che può aprire nuove prospettive di riattivazione sociale tramite la partecipazione culturale.

La presenza di un variegato patrimonio storico, artistico e culturale si lega alla possibilità di costruire esperienze socioculturali che si fondano su passioni, competenze, interessi, tempo libero e che sono capaci di soddisfare bisogni diversificati. Su questo fronte si registra un crescente attivismo, sia in città sia in molte località della provincia, nell’elaborazione di proposte che puntano alla valorizzazione della cultura materiale e immateriale per coinvolgere specifici gruppi di persone. Tutto ciò in un’ottica che può anche assumere una rilevanza sovralocale, come testimoniano alcuni cartelloni di manifestazioni che riescono a coinvolgere nomi di caratura nazionale e internazionale chiamati a confrontarsi con i dilemmi della condizione locale.

Gli enti pubblici, le realtà del Terzo settore e le molte istituzioni culturali (musei, biblioteche, teatri, fondazioni) sono i protagonisti di un nuovo modo di «fare welfare» che ha proprio nell’offerta culturale condivisa e accessibile l’elemento trainante. Le iniziative culturali, che puntano sulla specializzazione o sulla commistione tra generi e stili, possono essere motivo d’incontro tra persone che cercano momenti di socialità culturale o anche di semplice convivialità.

Sono molti gli intrecci possibili tra questo welfare emergente e i temi e le pratiche del welfare tradizionale. Molti di essi devono ancora essere pienamente esplorati. Si pensi alla questione dell’attivazione dei giovani la cui percezione esterna è spesso appiattita sull’uso di categorie semplicistiche come quella dei «Neet» (inattività e indisponibilità allo studio e al lavoro). Il diretto coinvolgimento dei giovani nella costruzione di proposte, eventi, spettacoli e festival è una modalità d’ingaggio che mobilita risorse ed energie nuove. Ma si pensi anche all’ingaggio delle famiglie come soggetti attivi per ricreare un nuovo tessuto sociale oppure al coinvolgimento della popolazione anziana in percorsi per l’invecchiamento attivo.

Molti casi concreti dimostrano che la partecipazione ad attività culturali contribuisce alla prevenzione del declino cognitivo e all’attenuazione di condizioni di stress. Una parte cospicua del potenziale strategico del welfare culturale è riposta nella sua capacità di riattivare i legami con i luoghi. Non è casuale che i soggetti impegnati in campo culturale ritengano prioritaria la sfida della rigenerazione degli spazi per la coproduzione e per la condivisione di cultura. Il welfare culturale può quindi costituire una concreta opportunità per favorire un virtuoso incontro tra contenuti culturali, luoghi e relazioni che insieme possono rappresentare un parziale (ma non insignificante) antidoto al senso di smarrimento e alle «passioni tristi» che attanagliano il nostro tempo.

Valerio Corradi - Docente di Sociologia, Università Cattolica di Brescia

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