Starmer «lanciato» dal collasso dei tory

In Italia abbiamo avuto modo di conoscere molti politici abili, ma anche fortunati: persone capaci intellettualmente, ma anche fortunati, perché erano presenti al posto giusto nel momento giusto; per esempio, in occasione di una fase di transizione particolare, durante la quale l’elettorato si pone alla ricerca di nuove personalità di riferimento, all’indomani di eventi particolarmente gravi, ai quali affidare il proprio voto.
L’ascesa di Silvio Berlusconi fu uno di questi, nella primavera del 1994, si configurò come uno di questi momenti.
Anche Keir Starmer, il leader del partito laburista britannico, si inserisce in questa particolare categoria. Giovedì 4 luglio, il suo partito ha ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni politiche britanniche che, all’apparenza, ha molte similitudini con quella ottenuta dal New Labour di Tony Blair nelle elezioni politiche del 1997. All’apparenza. Allora i laburisti vinsero contro un partito conservatore che, dopo 15 anni di thatcherismo, era in effetti in gravi difficoltà per aver proseguito troppo a lungo nelle politiche neo-liberiste adottate da Thatcher dal 1979 in avanti, al punto d’aver perfino proposto la privatizzazione del Sistema Sanitario Nazionale.
Quest’anno, invece, i laburisti si sono limitati a sfruttare il semplice collasso politico interno dei conservatori, solo nell’ultimo periodo guidati da Rishi Sunak. In modo particolare, i tory, che hanno subito una sconfitta clamorosa che va al di là dei numeri, devono iniziare a riflettere e a fondo sui loro errori. In effetti, dopo 14 anni di governo era anche prevedibile che l’elettorato britannico (che apprezza l’alternanza meditata) sentisse il bisogno di un cambiamento nella guida del Paese. Il problema per i conservatori è stato che si sono sfiancati non solo nella gestione del potere (fatto che capita a tutte le forze politiche in Stati in cui vige la democrazia), ma si sono soprattutto logorati al loro interno nella (mala) gestione della Brexit, che ha comportato enormi problemi economici e quindi sociali per i cittadini britannici.
L’una non ha fatto altro che aggravare i secondi, mentre i politici conservatori continuavano a battibeccare tra loro alla ricerca di nuovi equilibri interni capaci di assicurare il controllo del partito, permettere la promozione di precise ricette politiche e frenare l’emergere di nuove forze politiche populiste.
L’effetto prodotto da questi errori è stato duplice. In primo luogo, la sconfitta contro i laburisti, di cui si è detto. In secondo luogo, l’emersione di un nuovo partito, il Reform Party che si propone di sfidare da destra il partito conservatore e che è guidato da Nigel Farage: l’uomo che, con Boris Johnson, è stato fautore della infausta Brexit. Con il loro populismo anti-europeista e la proposta di soluzioni facili ai problemi del paese, avevano convinto i britannici che con l’uscita dall’Europa e l’adozione di politiche liberiste, anti-sistema e anti-immigrazione, l’economia del Paese sarebbe ripartita di slancio.

Ora la palla passa ai laburisti. Starmer ha assicurato di avere la soluzione ai problemi del Paese, con una politica più di sinistra, attenta alle fasce più deboli della società. Il tempo dirà se essa sarà efficace, riuscendo a far ripartire l’economia e a bloccare l’emigrazione legale clandestina che tanto spaventa l’opinione pubblica nazionale. Una cosa però parrebbe certa…, se i laburisti manterranno la parola data. Starmer ha assicurato che, con il nuovo governo, qualsiasi ipotesi di ritorno del Regno Unito nell’Unione europea deve considerarsi tramontata.
Con i laburisti il Regno Unito mai e poi mai sarà di nuovo membro della Ue; e anche i rapporti economici con essa dovranno essere improntati a una assoluta formalità. In sostanza: affari sì, ma dandosi sempre del «lei».
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