Sergio Mattarella e la lezione al Paese smarrito

Il messaggio di fine anno del presidente della Repubblica è stato un appello alla speranza e alla collaborazione: due elementi che, in una democrazia moderna e in una società evoluta, dovrebbero essere scontati. Così non è. Ci si sforza di evidenziare nelle parole di Mattarella i lati positivi del Paese, ma il Capo dello Stato è costretto ad ammettere che viviamo momenti difficili.
Non solo per le guerre, che più o meno direttamente minacciano anche la nostra sicurezza (Mattarella parla di pace, non in modo astratto e banale, ma precisa che è tale se non ci si sottomette «alla prepotenza di chi aggredisce gli altri Paesi con le armi; la pace è rispetto dei diritti umani e di ogni popolo alla libertà e alla dignità»).
Ma anche per la necessità di «riorientare la convivenza, il modo di vivere insieme, in questo periodo» in cui «un’allarmante forza centrifuga è capace di dividere, di allontanare, di radicalizzare le contrapposizioni, con le pubbliche opinioni lacerate»: è un appello alla politica, ma anche ai cittadini, in un tempo nel quale - non solo a causa dei social media - il clima generale volge al peggio, allo scontro, all’intolleranza.
Le diseguaglianze sono uno dei fattori di disagio, «smarrimento, sgomento». Anche se «i dati dell’occupazione sono incoraggianti, resistono aree di precarietà, di salari bassi, di lavoratori in cassa integrazione; i giovani vanno all’estero perché non trovano alternative, spesso dopo essersi laureati» (giovani che «vivono nella precarietà e nell’incertezza» che sono «cause rilevanti della crisi delle nascite»). Senza contare che «fra Nord e Sud c’è una disuguale disponibilità di servizi», che «il mutamento del clima» provoca «fatti non più straordinari, che vanno prevenuti con lungimiranza».
Di fronte dunque a questi e a tanti altri problemi (nelle carceri, nel campo della sicurezza del lavoro, oltre a «nuovi odiosi fenomeni, a partire dalle truffe agli anziani, alle aggressioni via web ai ragazzi, alla violenza di strada, ai femminicidi») Mattarella decide di non voltarsi dall’altra parte, di non ostentare un ottimismo di maniera che può portare qualche voto oggi, ma preparare la rovina del Paese domani. Quindi, in un discorso che i partiti hanno visto solo nei lati positivi, nei passaggi che corroboravano le loro tesi, il Capo dello Stato ha volato più in alto di un mondo politico ormai rinchiuso nel suo «particolare».
Mattarella ha puntato su due elementi: il rispetto (parola dell’anno per la Treccani) e la speranza (che «non può tradursi soltanto in attesa inoperosa»; qui c’è anche un richiamo al messaggio ispiratore del Giubileo appena aperto). Il rispetto è «il primo passo per una società più accogliente, rassicurante, più capace di umanità, come primo passo sulla strada per il dialogo, la collaborazione, la solidarietà, elementi su cui poggia la nostra civiltà». La speranza, invece, «siamo noi, è il nostro impegno, la nostra libertà, le nostre scelte».
Un programma concreto, quello del Presidente, che ha bisogno di esempi, di persone che nel nostro Paese operano quotidianamente «per il bene comune perché è proprio questa trama di sentimenti, di valori, di tensione ideale che tiene assieme le nostre comunità e traduce in realtà quella speranza collettiva che insieme vogliamo costruire» e che ci consentirà di «evitare quelle divaricazioni che lacerano le nostre società producendo un deserto di relazioni, un mondo abitato da tante solitudini». Qui si arriva ad un elemento - variamente interpretato dai politici - che invece va tradotto nella sua forma più pura e apolitica: il patriottismo.
Che è «quello dei medici del Pronto soccorso, dei nostri insegnanti, di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza, di chi lavora con professionalità e coscienza, di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto, di chi si impegna nel volontariato, degli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie».
#Mattarella: La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte.
— Quirinale (@Quirinale) December 31, 2024
Buon anno a tutti! pic.twitter.com/elZTjegmBm
Ma - questo passaggio è stato forse un po’ trascurato, perché è delicato e forse «divisivo», chissà - «è patriottismo, quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità; è fondamentale» - aggiunge Mattarella - «creare percorsi di integrazione e di reciproca comprensione perché anche da questo dipende il futuro della nostra società». Il patriottismo, la speranza e il rispetto sono figli di quella Costituzione nata da quella Liberazione della quale - come ricorda il Capo dello Stato - nel 2025 si celebrerà l’ottantesimo anniversario.
Una Liberazione che vive ogni giorno nei suoi ideali di ripudio dell’oppressione, delle ideologie che tendono a sottomettere la persona e a soffocarla; la ricorrenza «reca con sé il richiamo alla liberazione da tutto ciò che ostacola la libertà, la democrazia, la dignità, la giustizia».
I valori della Costituzione nata dalla Liberazione e dalla lotta contro il nazifascismo «animano la vita del Paese, le attese delle persone» e dovrebbero esprimersi «con l’ampia partecipazione dei cittadini al voto» (qui Mattarella tocca un altro punto dolente) ma anche attraverso «la positiva mediazione delle istituzioni verso il bene comune, perché è questo il compito alto che spetta alla politica». Insomma, non è stato un discorso di maniera: il Capo dello Stato ha delineato i tratti di un Paese che ha bisogno di intraprendere un cammino virtuoso, che non può avviarsi senza rendere concreti ogni giorno e in ogni campo lo spirito dei valori della Costituzione.
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