Regno Unito: maledizione Brexit e incognita Keir Starmer

La vittoria dei laburisti nelle elezioni britanniche segna una svolta quasi epocale nel Regno Unito. Si tratta di un’affermazione ampia, largamente annunciata, ma che va comunque analizzata.
La politica dell’alternanza che dovrebbe essere uno degli indici per valutare lo stato di salute di una democrazia pareva essersi inceppata dalle parti di Londra.
Solo dopo quattordici anni si spezza il dominio del partito conservatore, in sostanza i diciottenni inglesi di oggi, la generazione Brexit, ha vissuto in un Paese governato da una sola parte politica e come rappresentanti nel proprio orizzonte hanno visto soprattutto gente come Nigel Farage, Boris Johnson e Jeremy Corbyn, altro che Margaret Thatcher o Tony Blair, ultimi veri leader carismatici della politica britannica.
Si tratta di una generazione che ha vissuto lo shock dell’uscita dall’Unione europea ed un periodo decisamente oscuro, in cui si è acuita la distanza tra le grandi città e l’Inghilterra profonda, ma in cui è stata messa in discussione la tenuta stessa delle nazioni che compongono il Regno: il referendum indipendentista scozzese del 2014 seppur bocciato ha messo in luce un’insofferenza crescente di Edimburgo nei confronti di Londra (non a caso gli scozzesi si erano espressi a favore della permanenza nell’Unione europea»).
In Irlanda del Nord, che a sua volta si era espressa per il Remain, il sorpasso della popolazione di fede cattolica sui protestanti e l’affermazione del partito del Sinn Fein pone molte incognite per il futuro e solleva suggestioni per un possibile, futuribile, referendum di riunificazione con l’Eire.
Il nuovo primo ministro in pectore, il laburista Keir Starmer, dovrà tenere conto anche di questo scenario, ma una mano l’ha ricevuta dalle urne, almeno in Scozia, dove i nazionalisti dell’Snp avrebbero ottenuto solo una decina di seggi (nel 2019 furono 48).
Per quanto riguarda la questione nordirlandese la prima occasione di normalizzazione potrebbe presentarsi il prossimo anno quando Londra dovrà risedersi al tavolo con l’Unione europea perché nel 2025 scade l’accordo sulla Brexit e sul tavolo ci sono anche i confini irlandesi su cui poggia il trattato di pace del Venerdi santo che mise fine ai troubles. Ma se questo è il quadro ampio, la vittoria laburista ha spezzato anche una sorta di maledizione legata proprio alla Brexit, croce e delizia del partito conservatore. Alla guida del Regno si sono alternati dal 2016, cinque primi ministri Tories (tra cui Lizz Truss in carica per solo 44 giorni), mentre dal 2015 si è votato quattro volte. È stato senza dubbio uno dei periodi peggiori per la democrazia britannica, la Camera dei Comuni uscente è stata segnata da almeno una cinquantina di scandali che hanno coinvolto altrettanti deputati: dall’uso di droga alle accuse di molestie, di corruzione, di frode, di antisemitismo (Jeremy Corbyn è stato espulso per questo dai laburisti). Un decadimento morale evidente ma culminato, agli occhi dell’opinione pubblica, forse con il male minore, ovvero nelle accuse all’ex premier Boris Johnson di aver mentito sulle feste organizzate durante la pandemia, mentre gli inglesi erano in casa a soffrire per i pub chiusi.
Keir Starmer si troverà a governare un Paese economicamente più debole dopo la Brexit, attraversato da tensioni sociali e che in questi anni è stato segnato da scioperi a raffica nei servizi (dai treni, ai medici e infermieri, agli aeroporti) per l’accanimento con cui i Conservatori non hanno voluto rinnovare i contratti nazionali. Un Paese che ha avviato un piano di trasferimento dei migranti illegali in Rwanda ispirandosi al modello dei conservatori australiani. Il leader laburista non ha nessuna intenzione di rientrare in Europa (e ci mancherebbe) ma vuole migliorare i rapporti. Ha dimostrato grande equilibrio nelle prese di posizione sulla politica estera con una certa equidistanza dal conflitto israelo-palestinese, ma soprattutto da mesi sta dialogando con la city di Londra e le grandi realtà economico-industriali del Paese. Ora deve provare a togliere quell’aurea di rude britannia che avvolge il Regno Unito.
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